L’epilogo del caso Palamara non salva neppure le forme e lui va dai Radicali

venerdì 9 ottobre 2020


Quando tutti ti eleggono a capro espiatorio e quando gli amici di un tempo ti voltano le spalle, anche per paura che tu possa tirarli in mezzo a uno scandalo tutto interno alla magistratura, non rimane che un unico porto sicuro per far sentire le proprie ragioni: il salone delle conferenze stampa del Partito radicale a via di Torre Argentina.

Luca Palamara – che oggi il Consiglio superiore della magistratura a furor di popolo togato ha radiato dalla magistratura – lo sapeva benissimo fin da prima. Per questo non può sorprendere la decisione di tenere una conferenza stampa proprio in quella location da parte di chi oggi “paga per tutti”. Per usare le sue parole nel breve prologo a un evento che si è svolto soprattutto con il metodo delle domande e delle risposte dei pochi giornalisti ammessi in presenza causa Covid-19. Palamara promette che farà i nomi di tutti i politici con cui ha parlato in decenni di vita associazionistica dentro e fuori dall’Associazione nazionale magistrati. E magari non saranno tutti “reietti” del giustizialismo imperante come l’ex ministro Luca Lotti e l’altro renziano ed ex pm Cosimo Maria Ferri. I radicali da parte loro per bocca di Maurizio Turco che ne è presidente pro tempore chiedono l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta su questo caso che riguarda da anni l’intera magistratura. E che tutti gli altri sindacalisti dell’Anm sono ben contenti di poter chiamare “caso Palamara” con una sorta di rito esorcistico come pure qualche illuminato dell’onestà intellettuale “last minute” nel mondo dell’editoria ha ritenuto di definirlo oggi.

Palamara dice che è ora di finirla pure con il tabù dell’obbligatorietà penale. Quando si approda dai radicali è facile venire risucchiati dai ragionamenti politici sani e disinteressati. Persino per un ex pasdaran dell’Anm, per di più di quella fazione che si vantava di essere anti-berlusconiana.

Palamara certo non è Enzo Tortora – puro agnello innocente sacrificato sull’altare della giustizia-spettacolo e del carrierismo mediatico della Pubblica accusa – tuttavia a suo modo è vittima anche lui, per nemesi, di un terribile sistema che lui stesso aveva contribuito a consolidare. Certo non a costruire dall’inizio. Le sue parole ora faranno meno polemica anche perché la controindicazione di quando ci si rivolge ai radicali è quella di dare un bel pretesto politico al silenziamento stampa. Per gli interessati artefici della comunicazione pubblica e privata.

Questa farsa tragica interna alla magistratura non si sa come finirà quindi, ma certo avere tentato di fare con Palamara quello che il Psi fece con Mario Chiesa non porterà fortuna al cosiddetto Partito delle procure che oggi si sente trionfante. Né, probabilmente, con esiti diversi. Il tempo tutto sommato resta l’unico galantuomo in circolazione.

 

 

 


di Dimitri Buffa