Salvini-gioiosa macchina da guerra demo-grillina 1-0

lunedì 5 ottobre 2020


Il boomerang è uno strumento di caccia o di guerra in uso presso le popolazioni aborigene australiane. In tempi moderni è usato a scopo ludico. Nel qual caso può essere molto pericoloso se maneggiato scorrettamente. La traiettoria ellittica che lo riporta al punto di partenza può colpire il lanciatore inesperto.

Lo diciamo perché quel che si è visto attraversare il cielo di Catania sabato mattina è stato di sicuro un boomerang che, dopo un’ampia circumnavigazione dell’Etna, è tornato a Roma colpendo la nuca di un bel po’ di politici incapaci al quale ha fatto vedere le stelle. Cinque, per la precisione. Bando agli scherzi, la prima puntata della fiction “Salvini: crime story” ce la siamo goduta. Avrebbe dovuto essere la giornata della sua capitolazione giudiziaria con annesso corteo, in marcia nella città etnea, dei soliti quattro imbecilli giustizialisti che per puro odio ideologico ne chiedevano la lapidazione. Invece, non soltanto il Giudice dell’udienza preliminare non lo ha mandato a processo in tempo reale per sequestro di persona, ma ha deciso di accettare la richiesta della difesa di sentire in udienza l’attuale ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, per verificare se la procedura utilizzata dall’ex titolare dell’Interno, Matteo Salvini, nel caso della nave “B. Gregoretti” fosse stata applicata in eventi analoghi avvenuti quando non era più lui il titolare del Viminale.

Il Gup Nunzio Sarpietro ha aggiunto il carico da novanta decidendo di convocare a Catania anche il premier Giuseppe Conte, l’attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio e gli ex ai Trasporti, Danilo Toninelli e alla Difesa, Elisabetta Trenta, insieme all’ambasciatore Maurizio Massari, Rappresentante Permanente presso l’Unione europea: in pratica il cuore pulsante del Conte 1, versione penta-leghista. Il giudice ha motivato la decisione spiegando che: “Il fascicolo fornisce elementi anche di carattere contraddittorio ai fini della prospettazione accusatoria”. Una mazzata micidiale sulle gengive degli accusatori del leader della Lega, che i rancorosi pentastellati non avevano messo in conto.

Ora, sarà uno spasso assistere alle deposizioni, seppure in veste di testimoni, del gotha grillino. Già, perché a porre le domande ai gaglioffi che speravano di fregare l’ex alleato non sarà solo il Gup che li ha convocati ma anche il difensore di Matteo Salvini, Giulia Buongiorno. L’avvocato, passata alla storia dei grandi processi del Novecento per aver difeso Giulio Andreotti dall’accusa di essere colluso con la mafia, non si lascerà scappare l’occasione di rosolare i testimoni a fuoco lento con domande cotte a puntino anche grazie al fatto di essere stata lei stessa partecipe, in quanto componente del Consiglio dei ministri, di ciò che accadde nei contestati giorni della “Gregoretti”.

Se Giuseppe Conte, facendo di mestiere anch’egli l’avvocato, riuscirà a venirne fuori non troppo malconcio facendo lo slalom tra i molti tranelli che la difesa appronterà per il suo interrogatorio, i poveri impreparati, sprovveduti, gaffeur Luigi Di Maio e Danilo Toninelli dovranno sudare sette camicie per cavarsi d’impaccio. Per non parlare della ex ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, che ha il dente avvelenato con Conte e compagni per il modo brutale col quale l’hanno scaricata dopo la caduta del Governo penta-leghista.

Intanto, per i politici accusatori il colpo d’immagine c’è già stato e produrrà i suoi effetti sull’opinione pubblica. Salvini è riuscito in un modo e nell’altro a trascinare a Catania gli ex alleati dando plastica rappresentazione della tesi difensiva: la decisione sulle modalità e sui tempi di sbarco degli immigrati dalla nave “B. Gregoretti” fu una scelta politica e collegiale, condivisa con i ministri competenti e con il presidente del Consiglio e non un atto arbitrario e personale. Se i grillini avessero voluto fare dell’autolesionismo non avrebbero potuto scegliere mezzo migliore. Quel voto favorevole all’autorizzazione a procedere contro l’ex alleato per qualcosa compiuta nel periodo in cui erano insieme al Governo, ha avuto il sapore, o sarebbe meglio dire l’odore stantio, della meschina vendetta sul nemico politico. Essi, in combutta con il Partito Democratico sempre pronto e disponibile quando c’è da far fuori l’avversario per via giudiziaria, hanno pensato di usare il procedimento aperto sull’affaire “Gregoretti” come una clava. Siano pronti a pagare fino in fondo le conseguenze dell’improvvido gesto.

Oggi questa maggioranza, che occupa i gangli del potere, rischia seriamente di essere sbugiardata proprio da un giudice. Già, perché se al termine delle udienze il Gup dovesse accogliere la richiesta dell’accusa di prosciogliere Salvini e archiviare il fascicolo motivando che le decisioni assunte dal ministro dell’Interno dell’epoca erano in linea con le linee d’indirizzo date dalla maggioranza parlamentare di sostegno al Governo mediante il cosiddetto “Contratto” stipulato tra grillini e leghisti, indicazioni ottemperate anche dopo la sostituzione di Salvini con Luciana Lamorgese alla guida del Viminale, sarà palese l’intento strumentale della votazione parlamentare per mandare il leader della Lega a processo e quella stessa votazione sui cui effetti demolitori in tanti avevano contato sarà niente più che carta straccia.

Insomma, un autogoal da manuale. Eppure, la vicenda di Catania è la riprova di un principio che da molto tempo ci sforziamo di rappresentare: che i politici pensino di usare i giudici come bounty killer al servizio dei propri interessi è un errore colossale. I giudici, semmai, usano. E, al riguardo, il discorso sulla tracimazione del potere giudiziario oltre i confini stabiliti dalla separazione dei Poteri nello Stato costituzionale d’impianto liberale sarebbe lungo. Di certo i giudici non si fanno guidare come automi da improbabili manovratori, occulti o palesi che siano. Vale per gli sprovveduti grillini, ma ugualmente sia di monito al talvolta irruento Salvini.

Ha ragione Corrado Ocone che, nel suo articolo su Formiche. net “Dopo Catania Salvini è a un bivio”, invita il leader leghista a non fare l’errore speculare, cioè giocarsi politicamente e mediaticamente quella che è stata una sua indubbia vittoria. Vincere è un conto, provare a stravincere un altro. Come suggerisce Ocone al leader leghista, sarebbe salutare lasciare che “la presumibile evoluzione per sé positiva, in un senso o nell’altro, degli avvenimenti legati al procedimento faccia il suo corso”.

Gli italiani non sono stupidi, sanno benissimo stabilire chi, in una determinata situazione, abbia rimediato una figura di palta e chi invece ne sia uscito pulito. Non serve insistere. Per Salvini, come si dice in gergo cinematografico, buona la prima. Passi a occuparsi d’altro. Perché è ciò che il Paese gli chiede per legittimarlo, attraverso il consenso, non come precario “Re Travicello” che avrà stazionato per un po’ nelle stanze di Palazzo Chigi, ma come politico di rango superiore, rispettato e giudicato degno di rappresentare l’Italia in Europa e nel mondo.


di Cristofaro Sola