I puntellatori della democrazia parlamentare

venerdì 2 ottobre 2020


Sarà pure in crisi la democrazia parlamentare, id est rappresentativa, ma è l’unica democrazia che abbiamo. In crisi c’è nata, perché non è perfetta, come tutte le cose politiche veramente buone. Di tanto in tanto nella storia nascono riformatori che pretendono una “nuova” democrazia. Sennonché, come chiarì Benjamin Constant nella celeberrima conferenza del 1819 “La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni” (felicemente ripubblicata di fresco dall’editore Liberilibri con la dotta introduzione di Luca Arnaudo), di democrazie ce ne sono state due: la democrazia diretta dei Greci e la democrazia rappresentativa dei moderni.

Il fatto è che il semplice nome “democrazia”, pensato dall’antico popolo greco che pensò il pensiero stesso, ha avuto un tale successo e posseduto sempre un tale fascino che pure quelli che ne hanno esecrato la teoria e la pratica hanno dovuto acconciarsi a utilizzarne il nome, facendone però un ossimoro. Tra le tante qualità del sistema del “governo rappresentativo” la più preziosa consiste nel fatto che costringe a discutere e riflettere, soprattutto il popolo rappresentato. “Conoscere per deliberare” è il motto inciso nel suo stemma nobiliare. Acquisire la conoscenza appropriata dei fenomeni da governare e dei problemi da risolvere richiede tempo e studio e discussioni. A questo serve, fisiologicamente, il Parlamento, che, non dimentichiamolo, porta nel nome la sua funzione originaria e precipua. Purtroppo è proprio essa medesima l’oggetto del disprezzo dei critici e dei riformatori (presunti!) del Parlamento rappresentativo. Costoro non vogliono dei rappresentanti parlamentari liberi ed autonomi che pensino e discutano, ma degli automi, dei robot che eseguano pedissequamente i programmi prefissati e gli ordini impartiti, un’assurdità che trascura il dettaglio della realtà sempre in movimento e gl’imprevisti.

Il popolo, inteso come la comunità dei depositari della sovranità, non possiede le doti per esercitare quella funzione. Perciò la delega all’organo rappresentativo che elegge. Negli ultimi tempi capita di vedere certi irosi innovatori, scesi dai palcoscenici della comicità, e certi meditabondi professori, presi all’amo dai giullari, che, insoddisfatti dalla politica così com’è e attribuendo l’insoddisfazione al Parlamento così com’è, vagheggiano di stravolgerne le funzioni e di affiancargli dei comitati o consigli, pure estratti a sorte, il cui compito, stringi stringi, si riduce a elaborare proposte e sottoporle all’organo rappresentativo per eccellenza. Costoro si sono benignati di battezzare “democrazia deliberativa” (chissà perché!) i nuovi organismi, le nuove pratiche, le nuove istituzioni che dovrebbero pungolare e puntellare il Parlamento barcollante se non agonizzante, secondo loro, e così scongiurarne la crisi finale.

Idee e politiche antiparlamentari sono la causa, non la soluzione della pretesa crisi del Parlamento. Con logica impeccabile, accusano la Ferrari di essere inidonea ad arare i campi. Tutti gli addebiti che gli aspiranti puntellatori muovono al Parlamento sono in sostanza due: lontananza dal popolo e lentezza nel decidere. Ma non sono accuse fondate bensì pretesti per adottare pseudo riforme con l’intenzione di pervertirlo, se non di sbarazzarsene addirittura.


di Pietro Di Muccio de Quattro