mercoledì 23 settembre 2020
Quando a metà luglio si seppe che Luca Palamara aveva depositato presso il Consiglio Superiore della Magistratura una lista di 133 testimoni a difesa da sentire, scrissi su queste colonne che non ne sarebbe stato ammesso neppure uno.
Mi sbagliavo. Ne sono stati ammessi dal Csm tre o quattro, che altri non sono se non gli ufficiali della Guardia di finanza che hanno partecipato alle indagini e che ovviamente vengono sentiti come testi sulle risultanze delle medesime. Tutti gli altri no: esclusi.
E allora, aggiungo che sì, mi sbagliavo, ma che in sostanza ho indovinato, perché intendevo pronosticare quanto è accaduto: e cioè che nessun magistrato fra quelli indicati quali testi sarebbe stato ascoltato.
Non ero e non sono un profeta. Mi limito a cercare di comprendere ciò che tutti possono comprendere, sol che osservino con un minimo di oggettività i fatti che accadono sotto i propri occhi. Non era e non è difficile.
Dal momento che Palamara è accusato di aver fatto per alcuni anni esattamente ciò che moltissimi altri suoi colleghi magistrati hanno fatto per un tempo assai più esteso – cioè di aver patteggiato l’assegnazione dei posti direttivi e semidirettivi nella logica della corrente di appartenenza, a prescindere dalla capacità del singolo – era e rimane del tutto evidente che sentire quali testi i suoi colleghi proprio su questi aspetti avrebbe condotto necessariamente ad un esito scontato: rovesciare le accuse a lui mosse contro i suoi accusatori, perché nessuno di essi è esente dalle medesime responsabilità.
Sia chiaro che qui si sta discutendo delle responsabilità da far valere in sede disciplinare davanti al Csm, non di quelle penali che invece saranno accertate dalla Procura di Perugia: non si tratta insomma qui di corruzioni o di abusi, ma solo di comportamenti sanzionabili in sede disciplinare, quale appunto il mercimonio delle cariche.
Ora, siccome – antropologicamente e storicamente – tutto possono sopportare gli accusatori, tranne che di esser a loro volta accusati delle medesime colpe, perché perderebbero subito la propria legittimazione, allora è del tutto evidente che questo esito va accuratamente evitato.
Come si fa ad evitarlo?
La prima mossa è sicuramente quella di evitare i testimoni pericolosi. Chi sono? Sono semplicemente quei colleghi di Palamara che, sentiti come testimoni, avrebbero di necessità dovuto confermare le sue tesi difensive, secondo le quali lui non era che una rotella di un più complesso ed articolato ingranaggio destinato alla spartizione correntizia dei posti, al quale partecipavano in modo attivo molti magistrati e del quale traevano vantaggio quasi tutti gli altri, i quali, pur senza essere attivisti di corrente, beneficiavano delle sperimentate (ben prima di Palamara) logiche spartitorie.
Questo non si può pubblicamente dire: si deve tacere. Perché se si dicesse pubblicamente e se le dichiarazioni testimoniali confermassero la verità delle cose, e cioè che ciò per cui Palamara sarà radiato dalla magistratura era in realtà la normalità, allora quasi tutti dovrebbero esserne radiati.
Non profetizzo neppure in questa occasione. È infatti abbastanza semplice comprendere che azzerare le prove testimoniali, come ha fatto il Csm, significa concentrare sul solo Palamara tutte le nefandezze del correntismo, assolvendo tutti gli altri: una operazione di copertura considerata indispensabile per salvare la credibilità della intera istituzione giudiziaria.
Questo il cancro di ogni democrazia e dello stesso Stato di diritto: invece di avere il coraggio di dire le cose come stanno, denunciando pubblicamente il malcostume a chiunque esso sia attribuibile – anche ai magistrati – occultare maldestramente i misfatti, sperando di farla franca al riparo delle forme del diritto.
Non si rendono conto costoro di adottare il sistema tipico dei totalitarismi novecenteschi che sembravano definitivamente tramontati e che invece fanno ancora capolino in modo inquietante in vicende come questa. E probabilmente non sanno di dar vita ad una autentica persecuzione nel senso precisato da René Girard che, analizzando il meccanismo vittimario, ne svela la funzione di aggregazione sociale nel momento in cui si colpisce il “capro espiatorio”: sacrificato questo, gli altri sono salvi.
Il vero è esattamente nel contrario di ciò che il Csm pensa – se pensa – e fa. Bisognerebbe ascoltare tutti i testimoni, nessuno escluso; e farlo pubblicamente, in modo che l’opinione pubblica possa conoscere in modo chiaro e completo in qual modo sia stata gestita nei decenni l’attribuzione delle poltrone della magistratura italiana. Occorrerebbe insomma una salutare operazione di trasparenza, simile alla “Glasnost” inaugurata da Gorbaciov nella Russia ancora sovietica, svelando il meccanismo persecutorio e disinnescandolo.
Per esempio, in uno Stato normale e non sovietico, di fronte a enormità di questo genere – cioè a un Csm che di fatto priva della difesa un magistrato accusato di colpe così gravi – il Parlamento dovrebbe assumere l’iniziativa attraverso una apposita commissione per conoscere e valutare pubblicamente l’accaduto.
Non preoccupatevi troppo, comunque. Nulla di ciò si farà, perché siamo in Italia e si sa come vanno queste cose. E poi, il Parlamento, appena amputato dal referendum pentastellato, volete che abbia la forza di varare simili iniziative politicamente delicate, mettendosi contro la magistratura associata?
Palamara sarà – soltanto lui, se non si darà una mossa – crocifisso in sala mensa. Mentre i suoi accusatori e i suoi giudici si autoassolveranno per il solo fatto di averlo condannato.
E torneranno finalmente sereni ai costumi di sempre.
di Vincenzo Vitale