venerdì 4 settembre 2020
Nel precedente “appuntamento” s’è detto che la radice del taglio dei parlamentari affonda nel brodo gelatinoso del populismo e che, in questo brodo, la “rete” è vista come sale della “nuova” democrazia, una sorta di democrazia 2.0. Chi la pensa così sostiene che nel volgere di qualche anno il “nuovo mondo” prenderà definitivamente forma e il parlamento, di conseguenza, sarà inutile, anzi dannoso per la diretta e genuina realizzazione della volontà popolare. Sarà la “rete” il nuovo parlamento e chi del popolo andrà nei palazzi romani sarà soltanto un portavoce: “uno vale uno” e il “sorteggio” diventerà il nuovo metodo di nomina dei portavoce stessi.
L’impostazione dei “neomondisti” ha il merito di leggere i segni dei tempi e di dare ad essi veste politica. Per il resto è fasulla, come lo sono le soluzioni che porta con sé. Per prima cosa non è vero che il Parlamento sia inesorabilmente destinato alla disgregazione e debba essere sostituito dalla “rete” perché “così va il mondo”. Ed è ugualmente falso che la democrazia rappresentativa sia ormai un feticcio da gettare alle ortiche e da sostituire con il modello della democrazia diretta.
Perché tutto questo è ingannevole? Per almeno due motivi. Il primo è storico. La democrazia diretta non ha mai attecchito in nessun Paese del mondo e in nessuna epoca poiché impossibile da gestire e da gestire in maniera davvero democratica. Non sembri un paradosso: tutti gli esperimenti che hanno preso le mosse da modelli simili sono sfociati, alla fine, in sistemi dittatoriali od oligarchici oppure, come oggi si usa dire con linguaggio canzonatorio, in democrazie dittatoriali o dittatura delle maggioranze.
Il parlamentarismo, con la cinghia di trasmissione dei partiti, è il risultato più ragionevole o meno irragionevole consegnatoci dalla storia, in grado di conciliare le istanze dei singoli con le esigenze di tutti, ossia degli Stati intesi come corpi collettivi, come comunità organizzate in seno alle quali anche le minoranze possono realmente concorrere alle decisioni.
Il parlamentarismo è un sistema perfetto? Non lo è, la risposta è perfino banale. È il sistema meno imperfetto che la storia ci ha consegnato, dopo avere scartato altri metodi di governo, compreso quello diretto del popolo. È probabilmente la testimonianza del punto più avanzato, più alto, cui l’onda della democrazia è giunta.
L’altro motivo attiene direttamente alla funzione della “rete”. Si è detto che con le nuove tecnologie si tenta di sostituire il modello di democrazia rappresentativa. La “rete”, in questo “nuovo mondo”, non è più solo “luogo” di manifestazione di opinioni, ma anche cabina elettorale virtuale: nella rete non si esercita solo il diritto di pensiero, ma pure una specie di diritto di voto pseudo elettorale.
Siccome questo è il messaggio che, con fare martellante, è sparso ai quattro venti, gli esiti della partecipazione sono considerati, da chi vota, alla stregua di decisioni vere e proprie, vincolanti per le istituzioni. Si instilla così la convinzione, non solo che è irrilevante chi siede in Senato piuttosto che alla Camera, o il sistema di nomina dei senatori e dei deputati, ma anche che sono irrilevanti e d’intralcio le stesse istituzioni, le loro regole, i loro pesi e contrappesi, che in democrazia, invece, sono il “sale” della dinamica dei poteri.
Una narrazione simile, lo dico senza inutili giochi di parole, è il nuovo oppio dei popoli, uno dei più grandi bluff della contemporaneità.
Parlo di “oppio dei popoli” non per disconoscere alla “rete” funzione terapeutica, di sfiatatoio di pensieri e rabbia. Parlo di “oppio” per mettere in risalto l’effetto d’intontimento creato da quello strumento, spacciato come sostitutivo, appunto, sia del Parlamento quale organo, sia del parlamentarismo quale sistema di governo.
Alla fine, esso determina un’epica orgia di stordimento mentale. Per questo è “oppio”.
Il nocciolo del discorso, allora, diventa questo. La razionalità tecnologica e la logica del dominio che essa porta con sé, per riprendere le efficaci espressioni di Herbert Marcuse, aprono scenari inesplorati non solo dal punto di vista delle forme di comunicazione, ma anche della formazione o manipolazione delle volontà individuali e collettive.
È possibile, allora, che il vero scopo dell’uso di quell’”oppio” sia di modificare la forma della nostra democrazia, che il bluff, cioè, contenga un disegno più complesso, subdolamente taciuto: concentrare il potere nelle mani di pochi, pochissimi neo leader. E parte di questo disegno coincide, proprio, con la mutilazione delle funzioni parlamentari, ad iniziare da quella dell’organo.
Alle ideologie amputartici dei nuovi illusionisti io voterò contro, convintamente “no”.
(2/continua)
di Alessandro Giovannini