Accordo tra Israele ed Emirati; una svolta geostrategica

martedì 25 agosto 2020


Israele e gli Emirati Arabi Uniti (Eau) hanno programmato un vertice Washington nei primi giorni di settembre; in tale incontro verranno formalizzati i pre-accordi presi a metà Agosto tra i due Stati. Detti patti saranno finalizzati alla regolarizzazione (che nel linguaggio della diplomazia significa avvio ufficiale delle relazioni diplomatiche tra i due paesi) dei rapporti diplomatici frutto di una lunga, raffinata e strategica operazione negoziale che metterà in “luce” la nuova alleanza tra lo Stato ebraico e le monarchie petrolifere del Golfo Persico. Abu Dhabi diventerebbe così il terzo paese arabo a relazionarsi ufficialmente con lo Stato ebraico dal 1948, data della sua creazione. Il capo del governo israeliano, Benjamin Netanyahu, ha parlato di una “nuova era” tra Israele e paesi arabi e ha invitato gli Stati vicini politicamente agli Emirati a seguire lo stesso tracciato.

Va ricordato che il primo progetto di bilanciamento geopolitico dell’area del vicino oriente fu elaborato da Gran Bretagna e Francia nel 1916 con il Patto segreto, Sykes-Picot, poi reso pubblico nel 1919 e formalizzato, con vari aggiustamenti, nel 1923 nell’ambito della disgregazione e spartizione (come aree di influenza) dell’Impero Ottomano; tale operazione vedeva la creazione del sistema statale saudita come “contrappeso politico” al residuo dell’Impero Ottomano, cioè la Repubblica di Turchia. Da tempo sulla bilancia degli equilibri è venuto ad aggiungersi l’Iran sciita, il quale ha come obiettivo principe l’annichilimento dello Stato di Israele.

Detto ciò, lo storico accordo con gli Emirati avviene dopo che l’Egitto nel 1979 e la Giordania nel 1994, hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Israele; questa intesa per la normalizzazione dei rapporti arriva nonostante che non si veda luce su alcuna soluzione al conflitto israelo-palestinese. E’ verosimile che tale normalizzazione potrebbe tracciare la strada ad accordi di pace con altri paesi arabi come il Bahrein ed anche l’Arabia Saudita, cambiando drasticamente e profondamente gli equilibri geopolitici nel Medio oriente, ma soprattutto rompendo definitivamente l’isolamento di Israele nell’area vicino-orientale e fortificando la sua posizione politica nei confronti dell’Iran. Gli accordi di Oslo, firmati il 3 settembre 1993 nel cortile della Casa Bianca tra Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano e Yasser Arafat leader dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), ”uniti” da Bill Clinton, oltre che sdoganare, in teoria, i rapporti israelo-palestinesi, hanno anche aperto canali relazionali con parte del mondo arabo, infatti uomini d’affari, politici, militari israeliani ed degli Emirati, hanno iniziato ad incontrarsi ed a collaborare regolarmente, sia a Tel-Aviv che a Dubai. Le tecnologie militari israeliane, sia come armamenti, che software spionistici e strategici, sono tra i maggiori prodotti esportati da Israele verso gli Emirati; recentemente agli atleti israeliani è stato consentito di gareggiare negli Emirati, inoltre, accordi commerciali bilaterali, hanno permesso ad Israele di allestire, per questo autunno, uno stand all’Expo mondiale di Dubai, ma causa Covid l’evento è stato rinviato. I dettagli sugli accordi ancora non sono sati resi noti, ma i diplomatici di entrambi i paesi stanno lavorando per definirne i termini; tuttavia è certo che ci saranno i collegamenti aerei con visti turistici condivisi, infatti già sui social network molti israeliani esprimono la speranza che presto potranno programmare le loro ferie a Dubai, ad Abu Dhabi e dintorni.

Tuttavia osservando i precedenti con Egitto e Giordania, risulta poco probabile che tali normalizzazioni possano portare ad un ufficiale avvicinamento culturale, magari suggellato da scambi formativi e linguistici, infatti ufficialmente i rapporti di Israele con Giordania ed Egitto appaiono ancora piuttosto freddi, ma si sa che una cosa sono i rapporti ufficiali ed un’altra cosa sono gli accordi non ufficiali, spesso molto più prammatici e produttivi.

Dietro a questo, magari per molti, inaspettato accordo, il ruolo degli Stati Uniti di Donald Trump non è stato marginale, infatti il Presidente statunitense ha eccellenti rapporti sia con Israele che con gli Emirati Arabi Uniti ed è evidente che c’è un “disegno” più articolato sullo sfondo di questo storico accordo. Infatti la politica di Trump in questa parte del Mondo è stata sempre incentrata a facilitare un dialogo tra lo Stato ebraico ed i paesi arabi sunniti, anche al fine di contrastare la minaccia iraniana (sciiti). Denis Charbit, docente all’Università di Tel Aviv, ha affermato che “Chiaramente è un regalo che gli Emirati hanno appena fatto agli Stati Uniti, che in seguito trarranno utilità anche nei confronti dell’Iran, che sta guadagnando influenza nella regione, ed anche con Israele che è una potenza economica e commerciale regionale e una porta aperta per gli Stati Uniti”. Un’artefice di primo piano di questa operazione è stato Jared Kushner, sposato con  Ivanka Trump e consigliere del Presidente Usa; Trump ha elogiato l’accordo registrando un innegabile successo diplomatico che sicuramente utilizzerà contro l’avversario democratico alle presidenziali Usa Joe Biden; la stessa cosa per Netanyahu, certo riconfermato alla carica di Primo Ministro, ma incagliato in pericolosi procedimenti giudiziari ed impegnato a fronteggiare violente manifestazioni dell’opposizione. 

In questo quadro ritorna la litania palestinese sul tradimento subito dai vicini stati arabi; in realtà i Paesi arabi credono che l’alleanza con Israele prevale sulla questione palestinese; inoltre negli ultimi mesi sui media del Golfo, diversi intellettuali arabi hanno denunciato l’indolenza politica dei palestinesi ed il loro noto parassitismo nei confronti delle monarchie petrolifere. Nel “gioco delle parti” il principe ereditario e Ministro della Difesa di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed Al-Nahyane ha affermato che “È stato raggiunto un accordo per porre fine a qualsiasi ulteriore annessione (israeliana)”, ma subito Netanyahu ha affermato il contrario, dicendo che Israele ha “rimandato, non annullato”, il processo di annessione della Cisgiordania.

Come è di prassi i palestinesi hanno espresso furiosamente il loro dissenso riguardo ai programmi di normalizzazione, richiamando il loro ambasciatore da Abu Dhabi; Denis Charbit ha stimato che: “Chiaramente, per il momento l’equilibrio del potere è dalla parte di Israele. Ma se le normalizzazioni continueranno paese per paese e ogni volta Israele dovrà fare delle concessioni, i palestinesi potranno sperare di guadagnare qualcosa”.

A livello internazionale questo accordo ha confermato una divisione già esistente tra nazioni pro e contro: Londra, Parigi e Berlino hanno espresso grande entusiasmo, soprattutto la Gran Bretagna che ha ottimi rapporti sia con Israele che con gli Emirati; così come l’Egitto, l’Oman ed il Bahrain plaudono alla importante intesa; moderata con attendismo è l’Arabia Saudita; i meno entusiasti e minacciosi sono il Presidente, aspirante sultano, della Turchia Recep Tayyip Erdogan che minaccia di chiudere le relazioni diplomatiche con gli Emirati, l’Iran confuso sia a livello di politica estera che interna,  che definisce l’accordo come una “stupidità strategica”, e ovviamente la ormai patetica diplomazia palestinese non compresa più nemmeno dal mondo arabo. Circa la diplomazia italiana a livello media internazionali risulta, come da tempo, purtroppo inesistente.


di Fabio Marco Fabbri