La bella che è prigioniera si chiama libertà

mercoledì 29 luglio 2020


In realtà la citazione de L’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti, questa sciagurata – a dir poco – Repubblica rappresentata dall’ineffabile Giuseppe Conte, non la merita.

Non la merita perché comunque, anche in quel ciclo di affreschi del Palazzo Pubblico di Siena, persino il male assiso in trono ha una sua propria dignità, cosa del tutto ignota invece a coloro che hanno approvato, in Senato, la prosecuzione di un fantomatico “stato di emergenza” con la complicità – potremmo dire l’ignavia se qualcuno tra loro conoscesse il significato di tale parola – dell’opposizione. Così come nel grande dipinto murale senese siede sullo scranno più alto la Tirannide, altrettanto sta Conte, certo non così demoniaco nelle fattezze, ma non meno incombente sul popolo. Nessun canapo stringe quella Tirannide, così come oggi nessun vincolo impedisce al primo ministro di compiere ciò che vuole. E anche sul suo capo, come nell’affresco medievale, i tre vizi dell’Avarizia (quella che priva i cittadini del loro benessere e della loro vita), della Superbia (particolarmente cara a un governo qual è questo attuale di catapultati dalla sfera sublunare, di parvenu improvvisamente ascesi) e infine della Vanagloria, altra caratteristica precipua di Conte e di buona parte della sua corte ministeriale, di caudatari e corifei pentastellati.

E al di sotto di tutti loro soggiacciono le vittime del malgoverno, ovvero i cittadini. Quelli della Città della Vergine di un tempo, quelli di questa devastata Italia di oggi, tutti comunque sempre proni, succubi e inerti.

Hanno prorogato lo “stato di emergenza”, mentendo sapendo di mentire, indifferenti alla gente che affannosamente arranca per vivere, giorno dopo giorno. Ciechi che guidano altri ciechi verso il baratro cercato, voluto, agognato. Mai in tanti decenni dall’ultimo dopoguerra, mai, neanche i peggiori governi di centrosinistra hanno così scientemente massacrato la – un tempo – magnifica e plurimillenaria civiltà italiana. Innanzitutto distruggendo, metodicamente e a freddo, tutto il settore che gravita intorno alla cultura, all’istruzione, al turismo e allo spettacolo. Sterminando imprenditori e famiglie, singoli e gruppi nell’assoluto silenzio delle deliranti notizie legate alla virulenza di un virus già defunto da settimane e mantenuto in vita soltanto da continui e artefatti comunicati stampa, faziosi e propagatori di terrore.

Diffondere la paura ovunque, questa è la direttiva primaria, non detta ma evidente a chiunque non sia del tutto ottenebrato e abbia ancora in sé il ben dell’intelletto. Perché con la paura si domina – non si governa – meglio. Un popolo spaventato accetterà qualsiasi cosa per timore della propria vita e di quella dei suoi cari, ignari che proprio con tale supina accettazione, quelle vite andranno perdute.

Le mascherine sono il “simbolo” nefasto di tutto questo, uno strumento di costrizione e non di salvezza, perché non a caso imbavagliano, impedendo di parlare, così come esecrabile è il “distanziamento sociale”, il cui unico fine è negare l’abbraccio, il bacio, la stretta di mano, trasformando ogni libero cittadino non in un “replicante” (magari avessimo i Nexus 6 che si ribellavano al loro creatore per avere più vita), ma in un tremebondo schiavo che attende d’esser liberato dal proprio padrone, in un domani che non verrà mai.


di Dalmazio Frau