Il simbolo del dispotismo sanitario

giovedì 23 luglio 2020


Non c’è da farsi molte illusioni circa la preoccupante deriva autoritaria che, malgrado non ci sia più alcuna emergenza sanitaria da molto tempo, sta letteralmente annichilendo la società italiana. Sulla base di una colossale mistificazione di massa, con la quale si stanno spacciando i contagi per la malattia – quest’ultima ancora considerata come la peste nera – esponenti del Governo centrale e svariati amministratori locali continuano a terrorizzare la popolazione, intimando ad una cittadinanza sempre più inebetita di indossare ovunque la mascherina.  Uno strumento il quale, per l’uso indiscriminato e spesso assolutamente improprio che se ne fa, in questo momento assume, dietro la definizione di mezzo di protezione, la valenza di sinistro simbolo di oppressione. Una sorta di bavaglio democratico con cui imporre una forma subdola ma non meno inquietante di dispotismo sanitario.

In tal senso, registriamo la dura presa di posizione della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese la quale, in una intervista rilasciata al Messaggero, ha intimato soprattutto ai giovani di “autoimporsi l’uso della mascherina e il rispetto della distanza interpersonale”. Tutto questo a fronte di una epidemia che sul piano clinico, come continua a spiegarci sulle varie emittenti televisive un sempre più esasperato Alberto Zangrillo, non esiste più da almeno un paio di mesi. Tant’è che le varie apocalissi che i catastrofisti, a mio avviso piuttosto irresponsabili, del Comitato tecnico-scientifico, alias Comitato di salute pubblica, hanno di quando in quando previsto, magari a seguito di assembramenti calcistici o di movide, non si sono minimamente realizzate. Gli stessi geni che, è sempre bene tenerselo a mente, sostenevano nero su bianco che le parziali riaperture di maggio avrebbero condotto 151mila disgraziati in terapia intensiva.

Tuttavia, malgrado ad oggi vi siano solo una quarantina di pazienti intubati e che, come lo stesso Zangrillo ha spiegato con estrema chiarezza, i pochi decessi non sono direttamente causati dal Covid-19, i vertici del potere sembrano addirittura voler intensificare la loro folle linea savonarolesca, raccontandoci la favola tragica di un virus che sembra più mortale dell’Ebola. In realtà, l’evidenza di tutti i giorni, che chiunque di noi può tranquillamente verificare nel proprio ambito sociale, ci dice che la maggior parte delle persone, al netto dei paranoici e degli ossessivo-compulsivi, hanno ripreso ad assembrarsi, a stringersi la mano e a darsi le pacche sulle spalle, senza che questo abbia causato nessun problema di carattere sanitario. Ma dal momento che del Coronavirus si è fatto un tema di speculazione politica e professionale, mi sembra evidente che tanto più l’epidemia si dissolve quanto più si cerca in tutti i modi di tenerla in vita. Anche a costo di tenerci imbavagliati a tempo indeterminato, infischiandosene di farci rischiare gravi patologie, ad esempio l’aspergillosi polmonare, associate ad uno pseudo strumento di protezione che in questo momento serve quasi esclusivamente a proteggere la poltrona di chi occupa la stanza dei bottoni.


di Claudio Romiti