giovedì 9 luglio 2020
Prima era soltanto una tecnica. Ora è un’arte. Parliamo del rinvio del quale Giuseppe Conte ha maturato un’esperienza tale da elevarlo su una cattedra. Nel decreto sulla “Semplificazione” potremmo cominciare dalla chiusa che con quell’ineffabile “Salvo intese” certifica che le intese non ci sono ancora e, dunque, resta la solita suspense in merito alla sua stesura finale prima dell’invio al Quirinale e della conversione in legge in Parlamento, trattandosi non del solito Dcpm, Decreto del presidente del Consiglio dei ministri e che, more solito, prima di essere varato, si è complicato di molto. Dunque, il rinvio come ineluttabile opzione, si attaglia appropriatamente alla definizione di governo balneare di questo Conte 2 in cui la roboante titolazione di “Semplificazione” rischia di rovesciarsi nel suo opposto anche perché la sua logica è peggiorata dalla ossessione elettorale che spinge gli alleati in tutt’altre direzioni (e desideri).
In realtà, la ragione più vera del decreto (al di là dell’ennesima conferenza stampa) era ed è l’incontro europeo di Conte per dire alla Ue che il suo è il governo del nuovo che avanza e che in Italia sta cambiando tutto in virtù della vocazione riformista di una maggioranza che, allo stato delle cose, ha prodotto un’infinità di parole delle quali è diventata vittima, insieme al paese. La semplificazione predicata è minata alla base da una contraddizione di fondo che tenta, senza riuscirvi ovviamente, di mascherare le tante, strabilianti promesse spergiurando sulle liberalizzazioni quando, invece, il governo prosegue imperterrito sulla strada dell’interventismo dello Stato con le non irrilevanti pubblicizzazioni, vedi l’Alitalia, l’Ilva.
Il fatto è che le divisioni interne si fanno sempre più laceranti nella misura nella quale gli sforzi di Nicola Zingaretti, che tutto desidera all’infuori di una crisi, puntano a ribaltare i rapporti di maggioranza con l’obiettivo di fare del M5s una sorta di costola della sinistra mentre i pentastellati oppongono fiera resistenza per la conservazione del potere con primi ministri, ministri, deputati e senatori consapevoli di una loro drastica riduzione nelle vicine e lontane elezioni. E si spiegano di conseguenza certi sussulti di un M5s, in preda ad abbandoni e cambi di casacche, per recuperare antiche parole d’ordine di un’opposizione erga omnes, come la battaglia antiTav che, in ultima analisi riconfermano lo sfascio interno, lasciando il tempo che trovano. Gli sforzi di mediazione di Conte saranno sempre più obbligati e tendenti al rinvio, almeno fino a settembre-ottobre quando il responso elettorale regionale farà la differenza. E addio a “Salvo intese”.
di Paolo Pillitteri