Mes e fondo di rinascita: ovvero denaro promesso contro denaro contante

venerdì 3 luglio 2020


Da studentelli leggemmo, come quasi tutti, “Le avventure del Barone di Münchhausen” che, ispirate a un reale personaggio un po’ gradasso, narravano le mirabolanti avventure di un nobile sbruffone che vantava di cavalcare le palle di cannone e di salvarsi dalle sabbie mobili tirandosi su per i capelli. Letteratura per ragazzi, è vero, ma istruttiva, sebbene non quanto quel grande trattato politico sugl’Italiani che conosciamo sotto il titolo “Le avventure di Pinocchio”. Il presidente Giuseppe Conte, che corrivi temerari hanno osato accostare a Winston Churchill nientemeno, a noi ricorda invece quel Barone lì. E non solo perché tende a magnificare l’opera sua con fantasia esagerata, ma anche perché, gonfiandola, presume di poggiare sul solido e sul sicuro, mentre resta aggrappato all’aria delle sue stesse millanterie. Ciò dicendo, verremo accusati di cinismo, irriconoscenza, miopia, però senza meritarlo, perché l’azione di governo non risponde purtroppo ai tre criteri fondamentali della vita politica, e della stessa azione umana: realtà, razionalità, verità.

Esaminando la questione fondamentale posta drammaticamente dalla pandemia all’intera nazione, cioè l’immane quantità di denaro indispensabile per fronteggiare la recessione, definita catastrofica, due sono i fatti, le verità effettuali da considerare razionalmente: primo, non abbiamo il denaro necessario; secondo, non possiamo stamparlo in proprio ma dobbiamo chiederlo in prestito agli investitori italiani e stranieri.

L’Unione europea, finora caricata di tutti i nostri mali, ma effettiva salvatrice tramite la Bce e l’autorizzazione ad indebitarci “whatever it takes”, offre con il Mes circa quaranta miliardi immediatamente disponibili purché utilizzati per la nostra sanità, direttamente o indirettamente. Sono gratis, in sostanza. Il presidente Conte alla tedesca Angela Merkel, che glielo ricorda, getta in faccia, alla maniera di quel Barone, la vanteria del guappo: “Ai conti degl’Italiani pensiamo noi!”.

Possiamo giudicarlo realistico e ragionevole un simile comportamento, visto che lo stesso Conte ascrive a suo merito d’aver determinato, sì: determinato, la conversione a “U” dell’Europa sul debito comune per alimentare il fondo di rinascita? Possiamo giudicare realistico, ragionevole, veritiero, un Governo che fa lo smargiasso nel rifiutare il denaro già pronto per l’impiego specifico mentre anela al denaro di là da venire sconoscendone pure gl’impieghi specifici? Chi può concedere fiducia, dentro e fuori l’Italia, ad un Governo che crede di tutto e pretende che gli altri debbano tuttavia fidarsene? Il presidente Conte, come quel Barone, appare disancorato dalla concreta portata della drammatica questione che ha davanti. Egli è sospeso alla sua irresolutezza come il Barone ai suoi capelli, essendo entrambi nelle sabbie mobili. Non abbiamo una sola dichiarazione del presidente Conte nella quale egli spieghi, con argomenti, chiarezza, sincerità, perché sì o perché no al Mes, mentre sono scontati i sì alle donazioni e ai prestiti dell’Ue. Nelle condizioni date, il presidente del Consiglio ha il preciso dovere di darla, la spiegazione. Invece annuncia di volersi rimettere al Parlamento, ma non per rispettoso riconoscimento dell’autorità delle Camere quanto, piuttosto, come espediente per scaricarsi la responsabilità della decisione che spetterebbe a lui, trattandosi di un atto di governo relativo al trattato ratificato dall’Italia. Alta politica, alla quale Conte non sa, non vuole, non può innalzarsi, sebbene diriga la politica generale del Governo, della quale è responsabile e garante dell’unità d’indirizzo (articolo 95 della Costituzione).

Bisogna apprezzare davvero la lungimiranza di un premier che, mentre la nazione è alle strette con le casse vuote, tentenna a decidere se convenga all’Italia scambiare denaro contante contro denaro promesso. In groppa a Cinque Stelle, ricorda il Barone di Münchhausen, mentre, nei fatti, segue tristemente il vecchio slogan “sono il vostro capo, dunque vi seguo”.


di Pietro Di Muccio de Quattro