giovedì 2 luglio 2020
Nessuno è pronto a scommettere cinquanta centesimi sulla possibilità che il Governo Conte arrivi a settembre per incominciare a trattare con l’Europa le condizioni per ottenere i finanziamenti ed i contributi indispensabili per la ripresa dell’economia nazionale previsti dal Recovery act.
Le cronache politiche quotidiane rivelano contrasti crescenti tra le diverse componenti della maggioranza su questioni di grande importanza, dal Mes alla Tav, dal condono edilizio alle misure per il rilancio delle grandi opere senza il tappo del Codice degli appalti e delle norme che paralizzano i funzionari della Pubblica amministrazione. E chiunque abbia un minimo di esperienza delle vicende politiche si rende conto che ognuna di tali questioni può diventare facilmente la buccia di banana destinata a provocare una caduta rovinosa della coalizione giallorossa. Con la conseguenza che non si sa chi potrebbe portare avanti la trattativa con l’Europa e questa incertezza si va trasformando nell’unico fattore di tenuta di una maggioranza altrimenti destinata ad esplodere rovinosamente.
In queste condizioni non ci si può stupire o scandalizzare se i partners europei siano guardinghi, perplessi e preoccupati per la trattativa con l’Italia sui fondi europei. Come fidarsi di un Paese il cui Governo vive solo grazie alla paura di cadere e non poter arrivare vivo al momento in cui si dovrà discutere su fondi ritenuti indispensabili per strappare il Paese alla recessione provocata dall’epidemia del coronavirus?
Non sarà facile uscire da questo buco nero in cui le contraddizioni della maggioranza hanno infilato il Governo Conte. La strada più diretta sembrerebbe quella di ridare la parola al corpo elettorale e metterlo in condizione di scegliere un Governo solido e pienamente legittimato ad assumere gli impegni che verranno inevitabilmente chiesti dall’Europa. Ma anche in questo caso sarà necessario risolvere prima le contraddizioni politiche che minano i due principali partiti della coalizione e che provocano tanta deleteria precarietà.
Molti osservatori tendono a stabilire che queste contraddizioni siano tutte frutto dell’inesperienza e dell’improvvisazione del Movimento Cinque Stelle. La verità, invece, è che anche e soprattutto il Partito Democratico pare dominato da dilemmi ed incertezze di grande portata. Che non riguardano solo la fiducia personale nei confronti di Conte, ma anche e soprattutto le scelte strategiche di fondo che un partito non può non compiere se vuole continuare ad avere un qualche ruolo sulla scena politica nazionale.
Non più tardi di ieri, ad esempio, mentre un intellettuale della sinistra più radicale come Marco Revelli ha lanciato al Pd la proposta di rendere stabile ed irreversibile l’alleanza con il M5S annunciando fin da ora che appoggerà la ricandidatura della Appendino e della Raggi a sindache di Torino e Roma, un esponente qualificato dello stesso Pd come Carlo Calenda ha esposto la proposta opposta di dare vita ad un fronte repubblicano tra Pd e Forza Italia per rompere l’unità dello schieramento di centrodestra e creare le basi per una qualche alternativa all’attuale coalizione governativa.
Ma come conciliare tesi così opposte con l’esigenza di dare stabilità a qualsiasi Governo in vista della trattativa di settembre con la Ue? Il mistero è fitto. Per sciogliere dilemmi del genere i partiti tradizionali delle Prima Repubblica ricorrevano a congressi seriamente preparati. Quelli di adesso sembrano più propensi ad infilarsi in qualche programma televisivo tipo “Scherzi a parte”!
di Arturo Diaconale