lunedì 15 giugno 2020
Fondare un partito degli onesti – solo ipotizzarne la costituzione – porta una sfiga che la metà basta. Ne sa qualcosa – ad esempio – il buon Giorgio La Malfa, che si illuse di cavalcare la tigre all’epoca di Tangentopoli e che dopo pochi mesi a stretto giro di posta si beccò anche lui il primo avviso di garanzia per finanziamento illecito dei partiti.
Poi è venuto il turno di Antonio Di Pietro, travolto dalle inchieste di Report sul patrimonio immobiliare dell’Italia dei Valori e dalle denunce di ex senatori come Elio Veltri e adesso sembra essere arrivato il turno dei grillini. Che oggi mettono al passivo le rivelazioni corredate da documenti – che le autorità venezuelane si limitano a definire falsi – del quotidiano spagnolo Abc. Che in prima pagina parla di un finanziamento in nero per tre milioni e mezzo di dollari consegnati in una valigetta addirittura allo scomparso Gianroberto Casaleggio da parte del regime di Hugo Chávez nel lontano 2010. A cavallo della fondazione del partito grillino.
Certo, potrebbe trattarsi di una manovra politica per dissolvere quel poco di consenso che questo movimento di scappati di casa riesce ancora ad avere. Però è sintomatica – dei mutevoli umori del destino nonché dell’opinione pubblica – questa ennesima nemesi che colpisce i paladini degli slogan manettari come “onestà, onestà!”.
Il primo siluro di suddetta nemesi notoriamente è arrivato dall’ex amico pm Antonino Di Matteo, che ancora ieri sera da Massimo Giletti a “Non è l’Arena” ha ribadito le accuse al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e del suo staff nella non chiarita storia delle circolari di via Arenula che hanno permesso la scarcerazione di svariati boss mafiosi all’epoca dell’esplosione della pandemia del Covid-19. Determinando una mozione di sfiducia al Senato da cui Bonafede fu salvato solo dall’opportunismo renziano. Anche su quel caso le responsabilità ministeriali sembrano più presunte che accertate. Anche perché Di Matteo ormai sul processo-trattativa e dintorni parla come un oracolo – se non ex cathedra – ma all’attivo ha solo una sentenza di primo grado che gli dà ragione, mentre al passivo ci sono tante altre sentenze parallele che invece smentiscono il teorema. Ma tant’è.
Ed è sintomatico constatare come un ex possibile alleato politico all’interno della magistratura si sia trasformato nel peggiore nemico del movimento che pure idolatra chi la pensa come lui tra le toghe. Così, a forza di andare a caccia dello Stato etico (autoritario) – è la lezione che si ricava – si finisce per fare la fine di Robespierre. Ghigliottinati dallo strumento che si amava usare contro gli avversari politici. O più semplicemente si incontrano “quelli più puri che ti epurano”, come predicava a suo tempo con sarcasmo il compianto Pietro Nenni.
di Dimitri Buffa