venerdì 5 giugno 2020
Lo sfondo della politica sta cambiando rapidamente con la fine dell’emergenza e con l’avvento sulla scena di una Ue che ha capito di mettere a disposizione più soldi se non vuole essere lei stessa schiacciata dalla gravità della crisi. E non vi sono molti dubbi che i miliardi europei faranno bene all’Italia purché il loro utilizzo proceda di pari passo con le riforme necessarie al Paese e con gli investimenti infrastrutturali non più rinviabili. Ed è sufficiente pensare all’invadente oppressione della burocrazia per renderci conto che se si segue il “cammino usato” qualsiasi risorsa aggiuntiva sarà puramente formale e contenutisticamente inutile per via delle intollerabili lungaggini.
In un simile contesto, in un Esecutivo nel quale il Movimento 5 Stelle (maggioritario in Parlamento ma in forti difficoltà nel Paese oltre che frequentato da scissioni ed espulsioni) preferisce assistenzialismi e controllo diretto dell’economia da parte della politica, è sempre più visibile l’assenza di un Partito Democratico che non si sa proprio cosa sia con la guida di un Nicola Zingaretti che in un intero anno non ha detto una parola su come gestire la crisi. Un Pd silente sui temi di fondo e sui problemi del Paese.
Il Pd non è cresciuto come consensi, dal punto di vista delle proposte politiche non si è afferrato qualcosa di concreto e non soltanto sull’economia ma, incredibile a dirsi per chi si porta dietro l’esperienza del fu Pci, nemmeno sulla cultura e persino sull’emergenza sanitaria. È il portato della inazione zingarettiana fondata sullo stare zitti e buoni.
Rinviata probabilmente in autunno la prova del fuoco per un Giuseppe Conte – che non a caso propone all’opposizione una collaborazione che non dispiace a Silvio Berlusconi alla ricerca del centro perduto – la situazione nel centrodestra sta denotando alcune novità del resto già in progressione, almeno nei sondaggi, da diverso tempo. E ciò non tanto o non solo per i suddetti movimenti (piccoli) del Cavaliere, ma soprattutto nella presa d’atto di una sorta di appannamento del ruolo di un Matteo Salvini che, pur conservando un consenso ampio, non può attingerne dalle parole d’ordine sull’immigrazione e sugli sbarchi ai tempi del Covid-19, ed è costretto a mitigare di molto le ostilità primigenie contro un’Europa che si sta mostrando non poco generosa nei confronti del nostro Paese.
Se è comprensibile quella che lui stesso definiva la politica delle spallate contro un Governo che è minoranza nel Paese, tali iniziative perdono efficacia in un centrodestra dove si sta notando un cambio di passo con la crescita di Giorgia Meloni: dove prima c’era soltanto il Capitano, ora Fratelli d’Italia con la Meloni è al 15 per cento, a un passo dall’essere terzo partito, scavalcando il M5s e dando la sensazione che mentre prima FdI catturava consensi da Forza Italia, ora lo sta facendo a scapito della Lega.
Le ragioni di un exploit che ha sorpreso tanti osservatori sono molteplici, ma la più importante può essere ricondotta ad una maggiore coerenza di scelte e di forme da parte della Meloni rispetto alla Lega, in una collocazione di una, staremmo per dire, moderazione, come in una sorta di ribaltamento di ruoli e di provenienze di Fdl e di una Lega salviniana laddove il futuro di una governabilità, vicina o lontana che sia, viene coniugato da Giorgia Meloni con una prudente consapevolezza che la sta premiando, per l’oggi e per il domani.
Tanto più se, per dirla col poeta, del doman non v’è certezza.
di Paolo Pillitteri