Il galleggiamento di Conte

venerdì 5 giugno 2020


Abbiamo perso il conto delle conferenze stampa di Giuseppe Conte, naturalmente a reti unificate.

La politica delle parole, si vorrebbe definire lo stile contiano, che non è soltanto di tipo personale ma che abbraccia, contiene e spiega la cosiddetta linea generale, l’ideologia di fondo del Movimento che lo ha collocato a Palazzo Chigi, prima con Matteo Salvini e poi con Nicola Zingaretti. E questi due estremi si attenuano, si annullano come fondendosi in un eloquio che supera le differenti esperienze di amici-nemici in una uguaglianza parificatrice fra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, due partiti che si proclamavano l’uno contro l’altro armati. E dei quali, quello di Beppe Grillo, autodefinitosi né più né meno che antisistema.

L’andamento del parlare di Conte non ama le pause utili alla suspense, sfugge alle facili esclamazioni, non frequenta gli sfoghi; anzi, li trattiene e li comprime in esposizioni prive di emozioni il cui uso è scivolato progressivamente in un abuso e dunque in un impietoso svelamento di una non-politica. Sulla quale l’arte di galleggiare contiana ha dato il meglio, se non il peggio di se stessa.

Le promesse sfilano di continuo e non si vuole qui essere troppo severi a tale proposito, il fatto è che anche un superficiale sguardo al passato mostra non soltanto le finalità di uno studiato savoir-faire ma, soprattutto, l’assenza di risultati annunciati da proclami tonitruanti mescolati ad insulti e impregnati di arroganza. Il più autentico contenuto del grillismo.

La sostanza (si fa per dire) dell’azione di un Governo che si proclamava del cambiamento, sorretto a piene mani dal fu antisistema M5s che se ne definiva l’alfiere (e si ricordano gli entusiasmi per la leggendaria quota cento), si può tranquillamente definire dei sussidi, che sono l’esatto opposto non solo delle riforme ma del quotidiano esercizio di una funzione governativa.

I sussidi, intesi nella loro accezione prosaica che un tempo avremmo liquidato come clientelismo, connotano i diversi interventi che non riguardano soltanto la fase emergenziale, ma sono il contenuto del presente anche e soprattutto perché la situazione politica non è oggettivamente favorevole a crisi o elezioni anticipate (il caso Alfonso Bonafede insegna) e, dunque, diventa la vera ragion d’essere di una coalizione che si è spartita, di volta in volta, i compiti fra pubblici dipendenti e garantiti (Pd) e non (M5s).

La recentissima ma certamente non ultima conferenza stampa del Presidente del Consiglio ha fatto un appello alle opposizioni per un “comune lavorare insieme” accompagnato da promesse per le (immancabili) riforme e per le grandi opere (il Ponte sullo Stretto, addirittura!), ma è forse in questa apertura che si percepiscono i segnali di una sorta di fine corsa annunciata da una diffusa sfiducia nel Paese in difficoltà. Del resto, anche la risposta a Conte di un Carlo Bonomi della Confindustria, non è riuscita del tutto a trattenere severe critiche, specialmente nella incapacità di un Governo a misurarsi su un futuro che è già iniziato.


di Paolo Pillitteri