I kulaki del terzo millennio

venerdì 8 maggio 2020


Altro che virus respiratorio, quello che si sta diffondendo nel Paese è un vero proprio virus della follia collettiva. Follia che sul piano delle istituzioni a cui compete la responsabilità sul da farsi sembra aver raggiunto livelli preoccupanti, soprattutto in tema di ripresa economica. Ebbene, mai ci saremmo aspettati che una ventina di ristoratori e baristi milanesi, scesi in piazza con mascherine e ben distanziati per chiedere di poter riaprire le loro morenti attività, sarebbero stati multati per assembramento non autorizzato. Una botta da 400 euro a testa che si aggiunge alla catastrofe economica che si è abbattuta su questi imprenditori e ai quali la demenziale Fase 2 elaborata dal Governo non pare aver dato una risposta adeguata. In tal senso fa molto bene Nicola Porro a sottolineare la differenza tra questi poveretti, sanzionati solo perché hanno manifestato in nome della sopravvivenza produttiva, e i tanti cortei “spontanei” che il 25 aprile si sono assembrati all’aperto per cantare Bella ciao e che nessun solerte poliziotto si è permesso di multare.

Mentre questi ultimi, in una repubblichetta che continua a mantenere un forte legame con i miti del bolscevismo, avevano evidentemente una patente di immunità virologica per farlo, i primi, gli odiati bottegai che pensano solo al loro interesse, vengono ancora visti da molti alla stregua di kulaki del terzo millennio. Kulaki moderni che, al pari dei loro predecessori sterminati dallo stalinismo, oggigiorno vengono spesso usati dalle componenti più stataliste e retrograde della politica italiana come comodo capro espiatorio per giustificare i fallimenti del dominante modello assistenziale e burocratico. Evasori per definizione, da cui deriva il marchio indelebile degli egoisti sociali, a tali soggetti non è riservata la stessa attenzione che molte altre categorie di lavoratori ricevono. Tant’è che quando il titolare di un bar o di un ristorante, piuttosto che quello di una qualsiasi attività commerciale o artigianale, perde la propria impresa non può iscriversi nella lista dei disoccupati, bensì viene considerato un cosiddetto inoccupato, con molte meno guarentigie pubbliche, ad esempio l’esenzione completa del ticket sanitario di cui godono gli stessi disoccupati. Fatto sta che un blocco prolungato dell’economia, il quale non ha eguali in Europa, nella nebbia di una ripartenza piena di ambiguità normative e priva di una strategia chiara e coerente, non poteva che far montare una diffusa protesta all’interno dei cosiddetti ceti produttivi. Una protesta che la sparuta rappresentanza di imprenditori scesi in Piazza a Milano ha inscenato in un modo civile e garbato, così come riportano le cronache e le varie testimonianze raccolte in loco.

Ma la risposta della mano pubblica, a prescindere da chi abbia operativamente deciso di multare questi disperati imprenditori, è stata la stessa che abbiamo visto dare alcune settimane fa ai singoli runner rincorsi sulle spiagge, con tanto di droni ed elicotteri, e ai tanti “criminali” sorpresi fuori della loro abitazione senza una giustificazione ritenuta attendibile. Una risposta tanto dura quanto insensata che è servita solo ad aggiungere altro terrore e sconcerto nei riguardi di una cittadinanza da tempo in preda al panico. Ma se crediamo di poterci risollevare dal baratro economico in cui siamo finiti a colpi di multe, di autocertificazioni e di altre assurde misure liberticide, sommergendo le attività che riaprono di protocolli igienico-sanitari di tipo lunare e dai costi proibitivi, io penso proprio che nel baratro medesimo ci resteremo e per molto tempo ancora.


di Claudio Romiti