Il nucleare che non funziona, la fusione Eni-Enea e la ricerca energetica che non c’è

lunedì 4 maggio 2020


L’energia è alla base dello sviluppo, come dimostrano tutti i grafici che correlano l’aspettativa di vita media al consumo di energia pro-capite. Il clima invece non va proporzionalmente con energia e sviluppo ma dipende dalla finanza internazionale, che ora investe, anche utilizzando canali istituzionali (vedi Green Deal della Commissione europea), somme astronomiche per la “lotta” ai cosiddetti cambiamenti climatici. Gli investimenti su petrolio e suoi derivati, in Italia e nel mondo, ora sono contabilizzati sotto la voce Climate change. La finanza internazionale, che cerca sempre nuovi mercati per le sue enormi disponibilità, ora sponsorizza Greta, insieme alle sempre più numerose associazioni (in alcuni casi vere e proprie “sette”) ambientalistiche.

I petrolieri si inseriscono nel filone clima per pubblicizzare Oil & Gas come nuove fonti pulite di transizione verso le rinnovabili Fer (non programmabili). Se pensate allo spot di Eni + Silvia + Chiara E + Luca, vi sarete chiesti perché Eni pubblicizzi genericamente l’ambiente e il salvataggio del pianeta invece del proprio prodotto base quotidianamente e largamente venduto; la risposta a questa apparente ipocrisia è appunto la grande finanza che c’è dietro al business petrolio-clima, condito con una sana demagogia che rende friendly il prodotto petrolifero Eni, invece che un fossile inquinante, come sarebbe in realtà. Questa bolla finanziaria e mediatica si traduce nei fatti in un esborso in bolletta elettrica per il cittadino, con costi elevatissimi, anche a causa di accise di tutti i tipi (canone tivù, oneri di sistema tra cui nucleare non fatto o da smantellare, incentivi alle fonti rinnovabili e altro ancora), che oltre al comune cittadino, stanno distruggendo quel che rimane dell’industria nazionale.

A questo tragico balletto sul cadavere dell’Italia, partecipa l’ottava sorella che, oltre a salvare il pianeta con efficienza e energie rinnovabili (?), si unisce ora anche al “nuovo nucleare pulito e sicuro” (?), quello della fusione termonucleare a confinamento magnetico. Questo nuovo nucleare, per chi è giovane e non conosce la storia, è in realtà già molto vecchio, eppure, così come le Fer, mai decollato perché …semplicemente non funziona. Non ha funzionato dalla sua ideazione ad oggi, contrariamente a tutte le speranze e congetture scientifiche e non funzionerà in futuro, per motivi intriseci al processo, alle condizioni terrestri al contorno ed ai materiali disponibili. Però, come le rinnovabili, attira incentivi e capitali pubblici, nazionali e internazionali, partecipazione di numerosi gruppi industriali, pronti a prendersi una fetta di torta, fra cui, ma guarda caso, proprio chi dovrebbe essere teoricamente un competitor, se la fusione funzionasse davvero.

Infatti, tralasciando il pulito sicuro della fusione, su cui ci sarebbe da obiettare molto, per esempio che trizio e materiali attivati verrebbero prodotti comunque come “scorie” dell’ impianto “nucleare”, l’apparente contraddizione si spiega considerando che Eni non ha più investito, dai tempi di Enrico Mattei, con la centrale di Latina e Agip nucleare, sul nucleare che funziona, quello da fissione, che attualmente produce il 20 per cento circa dell’energia elettrica mondiale, il 30 per cento di quella europea, ed il 15 per cento di quella Italiana (anche nei comuni denuclearizzati). Perché il nucleare da fissione è il vero competitor carbon-free dell’Oil & Gas, è proprio questo che a colpi di Greta, Chiara + Luca + Silvia, referendum, ambientalismo sinistro verde-rosso, deve essere scongiurato da petrolieri e investitori green per poter continuare a raccogliere dividendi faraonici per le multinazionali dell’energia e contributi cospicui alle Associazioni verdi che a vario titolo sembrerebbero direttamente o indirettamente sponsorizzate.

Per fortuna del mondo, questo non è vero dappertutto, gli altri Stati non si negano nulla del potenziale mix energetico, con formula all inclusive. Certo, il cambiamento climatico è un driver finanziario fenomenale, ma cosa accade quando arriva un fatto nuovo come la pandemia da Coronavirus? E cosa succede quando c’è un black-out prolungato della rete elettrica? Succede che quando ci sono problemi gravi, veri e seri, quelli posticci e strumentali vengono subito dimenticati e la gente ritorna ad essere pratica e realista, scordando il Friday for future di domani per l’uovo di oggi, fatto di garanzia per la salute e di bisogno di energia e di soldi per campare. In questo quadro si inserisce il sistema Italiano della ricerca, in particolare in campo energetico.

Il discorso investe immediatamente quello che dovrebbe essere l’Ente per l’energia, l’Agenzia Enea, nata per promuovere l’energia nucleare e poi man mano dispersasi in mille rivoli, senza un core-business credibile ed utile alla società. D’altronde quando un Ente nasce per uno scopo, e poi questo viene meno, di solito chiude. E’ un po’ quello che succederebbe alla Chiesa se si dimostra che Dio non c’è e che non deve più diffondere la parola di Cristo. Il giorno dopo chiude. Ed è difficile convertirsi in altro, non sarebbe possibile e credibile.

Lo scopo istitutivo di Enea, ex Cnrn ed ex Cnen, è stato quello di promuovere la ricerca e l’impiego dell’energia nucleare nel nostro Paese. Cosa che è avvenuta dalla sua costituzione sino agli anni Ottanta. Con l’ingresso della politica e dei sindacati nell’ente, la missione è stata sempre meno chiara e precisa, allargandosi allo scibile da un lato, e perdendo di concretezza e capacità di penetrazione dall’altro. Nonostante questo, il livello medio di competenza nelle materie nucleari ed energetiche, con allargamento agli impatti ambientali, è sempre rimasto elevato. Man mano, però, che la mission si faceva confusa, i finanziamenti ed il personale cominciavano a calare, passando dai 5mila agli attuali 2.300, dai mille miliardi di lire per anno, agli attuali 140 milioni di euro. Da persone carismatiche come Felice Ippolito, Nicola Cabibbo, Carlo Rubbia a personaggi sconosciuti come gli attuali.

Così, mentre le altre nazioni possono oggi contare su Enti energetici e nucleari forti e incisivi, l’Italia è divenuta sempre più il vaso di coccio, ed i suoi ricercatori migliori emigrati all’estero. Oggi, a parte i residuali studi sul nucleare, con la presenza di due reattori di ricerca ancora in vita nonostante gli sforzi interni ed esterni di chiuderli, e la comproprietà in deposito temporaneo dei rifiuti radioattivi non energetici (quelli ospedalieri, per capirci), Enea si occupa essenzialmente di efficienza energetica e fonti rinnovabili, peraltro anche qui con scarso impatto sul bilancio energetico nazionale. Il risultato macroscopico è che, abortito il nucleare, il nostro mix energetico è oggi fatto di elettricità di importazione (15 per cento, quasi tutta da nucleare francese), idroelettrico(15 per cento), gas naturale e olio combustibile di importazione, carbone, biomassa e geotermico (60 per cento), essendo il restante 10 per cento di energia prodotta, da non confondersi con la ben superiore potenza installata (circa il 30 per cento), in modo intermittente dalle rinnovabili non programmabili (Fer). Questo mix energetico causa un costo elevato della bolletta elettrica, fra le più alte in Europa e nel mondo, e la perdita di competizione della nostra industria.

Tra l’altro la tecnologia di queste fonti, cosiddette Fer, non è Italiana, come si potrebbe pensare, bensì in parte tedesca e soprattutto cinese. Quindi la ricaduta industriale nazionale è negativa, dovendo l’Italia acquistare sul mercato estero e non vendere la propria tecnologia. Il risparmio energetico, che a volte viene confuso con la privazione energetica (basta vedere o meglio non vedere Roma), fornisce un contributo minimale (“Mi illumino di meno”) che viene esaltato dai media, ma che non è frutto di aumento di efficienza energetica, già al limite massimo, ma del calo dei consumi, e rappresenta quindi l’indicatore di una regressione della qualità della vita della “ settima potenza industriale del mondo” (ma lo siamo ancora?), cioè la cosiddetta decrescita infelice. Questa decrescita porta rapidamente ai problemi di infrastrutture, occupazione, stipendi, import-export.

Riuscirà Italia (e con essa l’Ente energetico) a risollevarsi? Al momento è più facile che venga ulteriormente divorata dalle tigri internazionali, molto più pragmatiche e senza scrupoli, e dotate di potenti infrastrutture e reti energetiche e tecnologiche. Certo chi ha l’energia nucleare se la tiene stretta, e chi non lo fa, come la Germania, va incontro (ed è già andata incontro) a brutte sorprese, perdendo il timone ed il ruolo di corazzata Europea a favore della Francia (già, proprio di chi ha il massimo nucleare in Europa…). E l’Italia? E la fusione nucleare? Non è nata sotto una buona stella. La gara di assegnazione della sede di Frascati per la realizzazione dell’impianto sperimentale per la fusione denominato Dtt (Divertor Test Tokamak), seppur potenzialmente coerente con la storia del Centro di ricerca di Frascati, è stata già impugnata da diverse Regioni partecipanti al Bando per le modalità di assegnazione al Centro di Frascati con criteri e applicazione non trasparente.

Un progetto così complesso di lunga durata e dagli esiti incerti è un vero punto interrogativo in assoluto e a maggior ragione per Enea e il consorzio privato Dtt da essa partorito. Sindacati ed amministratori dell’Ente sollevano dubbi di natura legale, economica, mentre i ricercatori importanti questioni di natura scientifica e tecnologica. Il Programma europeo eurofusion non ha mai fatto salti di gioia per questo reattore di prova di un elemento importante come il divertore, su cui il reattore al plasma scarica in brevissimo tempo la sua potenza termica, non inserendolo mai ufficialmente nei cronoprogrammi Europei per la realizzazione di Iter, il prototipo che dovrebbe portare nel 2030 al primo tentativo di innesco e mantenimento della fusione a confinamento magnetico. I fondi della Bei (circa 250 milioni su 500 milioni di euro totali) sono infatti un prestito garantito dallo stato Italiano proprio attraverso Enea e nel suo bilancio dovrà trovare ogni anno per 25 anni circa 13 milioni di euro.

Enea vive già una stagione non felicissima ed ultimamente la gestione non ha dato grandi prove di sé e non depongono bene per l’Agenzia che dovrebbe realizzare un reattore a fusione di grande complessità. L’imputazione all’Agenzia Enea di inquinamento ambientale del territorio limitrofo al Centro ricerche della Trisaia, dovuto allo sversamento a mare di metalli pericolosi originati dall’impianto Enea denominato Ex-Magnox, che a seguito dei rilievi dell’Arpab, risulta essere di due ordini di grandezza superiore al valore limite, è oggetto di indagine della Magistratura (Procura di Potenza) con capi di imputazione che vanno dall’inquinamento ambientale al falso ideologico. Anche la magistratura e la Guardia di finanza hanno recentemente voluto vederci chiaro sui sistemi di gestione e amministrazione da parte dei vertici dell’Agenzia. Insomma, spesso la struttura dell’Agenzia sembra agire più come un società privata che come un ente pubblico per la ricerca e lo sviluppo del Paese. Sull’altro fronte, la presenza di Eni all’interno del consorzio fusione nucleare sembra più essere volta a motivi di immagine, che non all’effettiva volontà del “Cane a sei zampe” di convertirsi dal fossile alle fonti alternative. In realtà la vera strategia di Eni sembrerebbe quella di mostrare al pubblico la sua anima sensibile ed ecologica verso le fonti pulite, purché futuribili e incerte, come fusione e rinnovabili Fer-Np, solare ed eolico, non certo alternative al fossile, in modo da assicurarsi per lunghi anni ancora i proventi miliardari provenienti dal petrolio.

Eni ed Enea ora sono insieme nel Dtt, e sembrerebbe che Eni abbia ottenuto di partecipare con quota minoritaria, ma con diritto di veto sulle decisioni gestionali del Cda, ed essendo rispettivamente uno un colosso e l’altro un topolino, si può ben immaginare come andrà a finire e chi si mangerà l’altro, dentro e poi anche fuori il consorzio. Ma il problema non è neanche quello. Il problema come al solito è: ne avrà reale beneficio energetico ed economico la nostra povera Italia?

(*) Associato Astri


di Simon Illepis (*)