giovedì 30 aprile 2020
Niente messa dunque almeno fino al 18 maggio? Molti i fedeli delusi dall’ultimo decreto di Conte che, pur dando libertà per i funerali religiosi, non ha dato licenza di celebrare la Santa messa, sia pure con il rispetto dei limiti necessari alla sicurezza reciproca. Questo ulteriore divieto ha causato una vibrata protesta della Conferenza episcopale italiana, la quale ha inoltrato al governo una richiesta specifica per consentire la celebrazione delle messe in condizioni di sicurezza. Tutto normale dunque? Fino ad un certo punto. Infatti, accade stranamente che per un verso il Papa si sia mostrato assai tiepido sul punto, senza perorare la causa dei vescovi in alcun modo e che per altro verso alcuni sacerdoti abbiano dato ragione a Giuseppe Conte e torto alla Cei. In particolare, alcuni di questi hanno sostenuto che la messa, al presente stato delle cose, è superflua, in quanto il cuore del cristianesimo è altrove, nella vita di tutti i giorni, nel cuore dell’uomo, indipendentemente dal culto sacramentale. Insomma, la proibizione della messa sarebbe pienamente giustificata dalla necessità di evitare l’assembramento delle persone allo scopo di evitare il diffondersi della pandemia, dal momento che, fra l’altro, i sacramenti altro non sarebbero che la “sottolineatura” dell’onore già reso a Dio nella vita quotidiana.
Ora, se è certamente vero che la fede senza le opere è vana, è anche vero che la fede cristiana e cattolica in particolare – “cattolico” significa “universale” – non è mai una sorta di ascesi personale da perfezionare nel proprio mondo interiore, ma si nutre del contatto con la auto-comunicazione di Dio che si dà nella specie attraverso la messa e i sacramenti (ovviamente, per chi ci crede). Ecco perché limitarsi a definire i sacramenti come una “sottolineatura” della vita che sarebbe già in se pienamente cristiana pare troppo riduttivo e, alla fine, fuorviante. Infatti, essi – e soltanto essi – sono in grado di “operare” in modo efficiente sulla vita spirituale dei fedeli: basti pensare per esempio che il Battesimo cancella il peccato originale o che la Penitenza cancella i peccati commessi, pur se di particolare gravità. Non solo. Nella comunione Eucaristica propria della messa, siamo tutti chiamati a qualcosa di inaudito ed incomprensibile, siamo tutti chiamati letteralmente a “mangiare Dio”: nessuna comunione più profonda di quella che si inaugura quando – come nella Eucaristia – ci si nutre perfino materialmente del “Corpus Christi”.
Una vera ed inimmaginabile compenetrazione dei corpi, umano e divino. Ed ecco la ragione profonda per cui ogni Sacerdote è tenuto a celebrare la messa ogni giorno, perché ogni giorno egli non può che rinnovare la comunione intima con Colui che è tenuto ad annunciare: altrimenti non ne sarebbe capace. Si tratta a ben guardare di una dimensione che sfugge ad una immediata intellegibilità, perché deve misurarsi con il mistero. E d’altra parte, il termine latino “sacramentum” – come ha chiarito Eberhard Jüngel – non è che la traduzione del greco “mysterion”, termine che in sede neotestamentaria indica il luogo in cui “si dischiude ciò che è nascosto al mondo e che tuttavia decide sul mondo”. Basta questa considerazione, che solleciterebbe molte ed ulteriori riflessioni, per comprendere come i sacramenti, in quanto misteri, e in particolare l’Eucaristia – celebrata nel corso della messa – siano ben più di una “sottolineatura” della vita cristiana.
Ne sono, invece, il centro di inaudita ed abissale profondità, il cuore vertiginosamente inesplorato, che tuttavia chiede sempre e di nuovo di essere frequentato, di essere vissuto come l’inaccessibile che tuttavia, e paradossalmente, si offre al cammino di tutti e di ciascuno, senza distinzione alcuna. L’esempio più a noi vicino, per meglio intendere ciò che voglio dire, potrebbe essere quello dell’amore, il quale, anche se puramente umano, da un lato svela la sua bellezza, ma dall’altro nasconde ciò che ancora rimane oscuro, benché destinato ad essere svelato lungo un cammino che dura per tutta la vita. Ecco perché probabilmente la Conferenza episcopale italiana ha tanto insistito con il governo allo scopo di poter tornare a celebrare le messe nella chiese, rispettando peraltro le distanze personali necessarie: perché i vescovi ben sanno che per un cristiano, consapevole della fonte della propria fede, non è possibile testimoniare l’esistenza di Dio senza entrare in comunione con Lui, il che accade proprio attraverso la messa e i sacramenti.
Non a caso la sacramentalità evoca sempre la dimensione comunitaria della fede, che non è mai una esperienza singolare ed esclusiva, proprio perché la vita cristiana o si svolge nella comunione – con Dio e con gli altri – oppure semplicemente non è. Insomma, dirsi cristiano pur senza sacramenti sarebbe come dirsi pittore senza tuttavia dipingere o pianista ma senza tastiera: uno scherzo, prima ancora che una assurdità.
di Vincenzo Vitale