martedì 28 aprile 2020
Al fondo delle troppo caute aperture decise dal governo con l’ultimo decreto c’è un non detto: gli italiani, in buona parte, non hanno abbastanza senso di responsabilità e, se lasciati liberi di muoversi, non sarebbero capaci di autodisciplinarsi e di organizzare le produzioni e la vita personale e sociale in conformità con le necessità imposte dall’epidemia e le norme sanitarie: i loro comportamenti scomposti provocherebbero una nuova ondata di contagi e di morti. Essi necessiterebbero perciò della tutela di norme obbligatorie e stringenti. Il premier Giuseppe Conte nella sua conferenza stampa di domenica ha decretato in sostanza, a ben vedere, lo stato di minorità del popolo italiano evidentemente – secondo lui – incapace, se libero, di rispettare le regole sanitarie, come stanno facendo invece altri popoli, da quello tedesco a quello inglese a quello francese a quello turco: nessuno dei quali sta subendo le restrizioni coattive del popolo italiano. Lo confermano anche le frequenti locuzioni del signor Conte del tipo “noi consentiamo”, come se il potere scendesse dall’alto come avveniva in Urss e nei regimi assolutisti del passato.
In particolare, non sarebbero mature per la libertà le popolazioni meridionali, dato che non sono state alleviate le severe restrizioni in quelle regioni meridionali dove, pure, la situazione epidemica sembra assolutamente sotto controllo e lo avrebbe consentito. L’atteggiamento iper-rigorista di alcuni governatori e sindaci meridionali sembra avere dato ragione alle particolari preoccupazioni “meridionali” del governo. Si può essere praticamente certi che se le regioni del Nord avessero avuto gli stessi dati epidemiologici di quelli attualmente registrati in alcune regioni del Sud, il governo le avrebbe certamente differenziate con l’appoggio pieno delle autorità locali.
Non molto diverso fu il dibattito in Italia sul suffragio maschile universale che nel 1912 il liberale Giovanni Giolitti decise poi “motu proprio” (dato che persino i socialisti erano divisi in proposito, come lamentava Gaetano Salvemini). Il risultato oggi di quella stessa perplessità sulle capacità del popolo italiano è che con il suo decreto il governo, oltre a innumerevoli contraddizioni, ha in sostanza annunciato la morte, di qui al 1° giugno (e oltre), di decine di migliaia di piccole imprese, bar, ristoranti, negozi e piccole attività artigianali. È questo il prezzo che l’Italia pagherà alla decisione governativa di non lasciare che fossero quei piccoli imprenditori ad assumersi la responsabilità di applicare nei luoghi di lavoro le misure di sicurezza anti-Coronavirus e pretendere di dirigere tutto dall’alto e con concessioni dall’alto come nelle pianificazioni sovietiche. È il prezzo cioè della percezione di una presunta minorità delle popolazioni italiane, in specie di quelle meridionali.
Questa percezione viene confermata anche dalla sfacciataggine irrispettosa per l’intelligenza degli italiani con cui lo stesso premier Conte ha osato lusingarli con la ridicola riproposizione autocelebrativa del presunto “modello italiano”. Egli ha osato dire, tra l’altro, senza temere il ridicolo, nientemeno che la sua bozza di “Fase 2” (in realtà una “Fase 1 e 1/2) che stava solo allora annunciando, gli sarebbe stata già chiesta da “altri governi” per copiare le nostre misure – ha lasciato chiaramente intendere. “L’Europa ci invidia” – ha anche osato incredibilmente dire. Ma davvero? Pochi minuti prima aveva presentato il Recovery Fund dell’Ue (di cui ancora non sono note le caratteristiche essenziali e che non è stato ancora concretizzato) una vittoria dell’Italia che si sarebbe messa “alla testa” di un gruppo di paesi europei. Sarebbe stata anzi una sua vittoria personale. “Se io (sic!) ho potuto ottenere questa grande vittoria è stato grazie a voi cittadini”, si è pavoneggiato, cercando al tempo stesso di lusingare l’orgoglio italico. In realtà ha trattato gli italiani come minorenni, deficienti e smemorati.
Nonostante tutto ciò, l’indice di gradimento del signor Conte dall’inizio dell’epidemia è passata dal 40 al 66 per cento, quella del governo dal 35 al 56 per cento. C’è davvero da chiedersi se sia un caso di sindrome di Stoccolma. Certo, si sa bene che un popolo si stringe meccanicamente attorno ai timonieri chiunque essi siano anche se sono stati essi, per imperizia o altro, a condurre la barca in acque tempestose. Ma può anche essere che quei numeri occultino il fuoco che cova sotto la cenere. Secondo molti osservatori, nei prossimi mesi quando alla convivenza con il virus si aggiungerà il fatto che molte imprese di piccole e medie imprese saranno fallite, la disoccupazione sarà cresciuta sensibilmente e si cominceranno a pagare i debiti privati e pubblici (non si dimentichi l’incombere dello spread), potrebbe esplodere la rabbia sociale e politica contro quegli stessi timonieri disastrosi e narcisisti che potrebbero pagare lo scotto di non avere creduto nella responsabilità degli italiani.
Per tutto questo sarebbe necessario e urgente all’Italia un bagno di responsabilità generale. Gli italiani certo devono rendersi degni della libertà mostrando senso di responsabilità. Ma non potranno mostrarlo se a priori si continua a considerarli immaturi. Il processo deve, perciò, cominciare dall’alto con l’ammissione di tutti i gravi errori ed omissioni commessi da governanti, scienziati (e anche giornalisti) che stanno all’origine dell’epidemia e degli attuali dilemmi e divisioni tra aperturisti e fautori della chiusura. Si dovrebbe tutti cominciare a rispondere alle domande di fondo: chi non ha capito? Chi pur sapendo ha taciuto e ha fatto passare chi non taceva per “allarmista” e “seminatore di paure di panico”?
Chi pur sapendo ha preferito fare come se non sapesse ed ha omesso di fare quel che si doveva? E soprattutto: è l’attuale coalizione di governo di dilettanti incerti privi di visione e di strategia, sempre in ritardo sugli avvenimenti, davvero in grado di affrontare le tempeste che attendono l’Italia? Tutti dovrebbero trarre le necessarie conseguenze della responsabilità. Non sarebbe solo un segno di discontinuità con una tradizione di irresponsabilità dei potenti in Italia, ma anche un segno che in Italia i governi cominciano a trattare gli italiani come individui maggiorenni, maturi e responsabili. Sarebbe un segno che in Italia si ricomincia finalmente a fare sul serio: un po’ come avvenne nel Secondo Dopoguerra.
di Lucio Leante