Ma il Cavaliere vede le sue tv?

lunedì 27 aprile 2020


È come se fosse stato messo, all’entrata di Cologno Monzese, un cartello con la scritta: “Qui non si fa politica, qui si lavora”. Non per essere troppo pretenziosi, ma a quel “qui si lavora” si dovrebbe aggiungere un “come”.

Intendiamoci, lungi di noi critiche riferite alla fatica quotidiana e spesso anche notturna dei tanti e ottimi professionisti che danno il meglio di sé nelle televisioni del Cavaliere ma è la linea, la direzione, stavamo per dire le direttive per quei professionisti che non ci sembra di scorgere, per la ragione, forse, che vengano prese alla lettera indicazione e significato di quel cartello prescrittivo e condizionante.

C’è scritto “politica” ma il termine del greco Politeia corre il rischio di essere riduttivo e troppo specificante nei suoi obblighi quando è invece la parola che gode di un’accezione più ampia e larga e, a maggior ragione, più impegnativa. Sia in funzione dello spettacolo in sé, sia per quei programmi cosiddetti di informazione attinenti non soltanto alle news, ma alle loro derivazioni nei talk-show. Naturalmente cum grano salis. O, più semplicemente, caso per caso.

Si capisce, ovviamente, che la tivù, e ce ne accorgiamo in questi tempi di autoreclusione, è obbligata, insostituibile, è spettacolo, diverte, attira, distende i nervi e amplia l’audience; appunto, l’audience, la parola magica che è il passaporto per accedere al regno della indispensabile pubblicità. Ed è come se questo obbligo regnasse sovrano e imponesse la sua logica in campi nei quali la riflessione, il dibattito e la discussione sono ingredienti la cui messa in onda non necessitano, e sempre caso per caso, dell’audience a prescindere. È uno spazio speciale, un angolo preciso; meglio, una riserva. Una riserva ma non di caccia all’audience con scatti e sussulti a chi le spara (appunto) più grosse secondo gli stimoli che il conduttore-animatore esercita al puro scopo di eccitare i partecipanti obbligandoli a stravolgere il dibattito in una rissa con lo spettatore che non si raccapezza mentre gli argomenti di quella tenzone si confondono e si esauriscono in scambi di battute e, a volte, di insulti.

Cosicché, nel contesto di una programmazione dove una tivù del lamento mescola il dolore con la ripetitività di uno spettacolo, altri argomenti di attualità politica vengono praticamente omessi, abbandonati a brevi commenti, liquidati come noiosi intralci.

Per cui, l’impressionante catena di decreti che si riversano sui cittadini, un vero e proprio diluvio che sta sommergendo i fondamenti della nostra democrazia e della nostra libertà, non trova spazi e interessi nei talk-show che non siano, appunto, brevi cenni. Si dice: l’audience è loro nemica. Come lo è, a quanto pare, riferita a quel Mes sul quale proprio Silvio Berlusconi ha puntato le sue carte, scompaginando i giochi all’interno del centrodestra introducendovi un motivo che si alza al di sopra delle reiterate minacce di una crisi che soltanto con un’iniziativa politica di ampio respiro può trovare uno sbocco.

È la politica, bellezza! Alla faccia del cartello di cui sopra.


di Paolo Pillitteri