L’illusione fallita dell’italiano nuovo

martedì 21 aprile 2020


Non è vero affatto che l’emergenza imposta dal coronavirus con il suo carico di morti e di restrizioni abbia migliorato, educato ed elevato la società italiana. Chi pensava che una prova così dura e lunga nel tempo avrebbe costretto gli italiani a non badare più al proprio particulare diventando di colpo tutti meno egoisti e solidali e avrebbe forgiato un modello di italiano nuovo più virtuoso di tutti i modelli di italiani comparsi negli ultimi tremila anni deve oggi constatare che la sua idea, come tutte le pretese di forgiare l’umanità facendola passare attraverso le fornaci delle guerre, delle crisi economiche e sanitarie, è totalmente fallita.

A meno di non credere che cantare sui balconi sia stata una dimostrazione di quanto gli italiani siano diventati modello di etica e di solidarietà, bisogna incominciare a prendere atto che il coronavirus non solo non ha migliorato la società nazionale, ma ha iniettato al suo interno dosi di ferocia e di intolleranza di cui non si avvertiva alcun bisogno.

Non c’è bisogno di tirare in ballo l’esempio del pacifico cittadino che correva tutto solo per la strada e che è stato malmenato in quanto colpevole di non aver rispettato la rigida chiusura imposta dal governo per concludere che la prova suprema non ci ha migliorato ma ci ha reso peggiori.

L’esempio più evidente di questo effetto negativo si manifesta in maniera addirittura eclatante sul terreno politico. L’unità nazionale, con cui si sarebbe dovuta fronteggiare la pandemia, si è rivelata una vana illusione. Non perché non sia nato un governo formato da tutte le forze politiche come da più parte era stato proposto ricordando come in passato le emergenze hanno sempre prodotto formule politiche ispirate alla solidarietà nazionale. Ma perché la spaccatura politica che in questi quaranta giorni si è verificata nel Paese è talmente larga e profonda che sembra ricordare quelle che in altre epoche hanno alimentato forme di guerra civile magari non conclamata ma estremamente diffusa nell’intera penisola.

Lo scontro istituzionale e politico tra governo centrale e governatori regionali non è solo la pietra tombale su un regionalismo sbilenco realizzato da modifiche costituzionali realizzate solo per motivazioni politiche contingenti. È il segno inequivocabile della lacerazione in atto nel tessuto sociale e politico nazionale, lacerazione che non potrà non essere accentuata dalle tensioni che le prossime elezioni amministrative, sia che si celebrino in estate o in autunno, fatalmente porteranno. Lo scontro tra i partiti al governo centrale, che puntano a ribaltare a proprio vantaggio gli equilibri politici delle regioni governate dal centrodestra, è già durissimo e lo sarà ancora di più.

Chi voleva approfittare del coronavirus per rifare gli italiani prenda finalmente atto che il suo proposito è fallito. E che proprio a causa di tale proposito c’è il rischio di scivolare non solo verso la recessione economica ma anche verso nuove forme di guerra civile.


di Arturo Diaconale