Le due Italie

lunedì 20 aprile 2020


Questa detenzione senza sbarre (e, perciò, assai più subdola) mi ha trasformato in un lettore onnivoro: giornali, siti internet, blog, persino i post sui social dell’Imbecille globale, versione post-moderna dell’Idiota collettivo.

Una massa informe di fatti ed illusioni, logica ed illogica, speranze e rabbia dura da digerire pure per gli stomaci più forti, ma dal sapore chiaro, netto quanto aspro. Il tavolo è saltato. Non intendo quello di questa maggioranza. Un bluff tanto sfacciato che - virus o non virus, Mes o non Mes - era ovvio fin dall’inizio avrebbe avuto breve durata. Intendo qualcosa di ben più profondo, che ha a che fare con l’essenza stessa del nostro stare insieme.

Sono emerse (e, a occhio, non hanno nessuna intenzione di re-immergersi a pandemia finita) due Italie. Una, che di questo Stato inefficiente e parolaio non vuole più saperne. Un’altra, rabbiosamente attaccata, traendone la propria sussistenza, a questo groviglio inestricabile di spesa pubblica improduttiva, clientelare, quando non apertamente corrotta.

Due Italie finora unite a debito, pur mal sopportandosi da sempre. Ma che oggi - che perdiamo lo 0,5 del Prodotto interno lordo annuo per ogni settimana di chiusura e la povertà è uno spettro sempre meno evanescente - di ragioni per stare insieme ne riconoscono ben poche. Tutelati e non tutelati, non certo tranquillizzati da misure frammentarie e pressoché unidirezionali.

Il conflitto sociale pare inevitabile, ma per chi lo considera la linfa della democrazia non è detto sia necessariamente un male.

Fare da prefica non mi piace affatto, ma nondimeno da giorni vado dicendo che sta per deflagrare un conflitto sociale dagli esiti imprevedibili e che la linea del fronte si porrà non tra destra e sinistra, come pigramente sia portati a pensare convinti come siamo della sostanziale eternità delle categorie novecentesche, ma tra garantiti e non garantiti.

Non bastasse, un’altra faglia, non meno potenzialmente pericolosa, la stanno creando quelli del “dagli” alla Lombardia, che evidentemente pensano di fare dimenticare settimane di #milanononsiferma #aperitivoainavigli e patenti di #fascioleghista attribuite a chiunque osasse domandare come ci si stava attrezzando per contrastare la pandemia con un #commissariatelalombardia nuovo di zecca.

Il tema è inscindibilmente legato al primo, ché la Lombardia produce più del 20 per cento del Pil annuo e lascia agli altri malcontati 50 miliardi di residuo fiscale ogni dodici mesi.

Non occorre essere raffinati studiosi per capire che, quando avranno finito di piangere i morti, delle fanfaronate neo borboniche di Vincenzo De Luca, tanto per citarne uno, si ricorderanno e bene.

Intanto, a Bolzano fiutano l’aria e si mettono avanti.


di Massimiliano Annetta