martedì 14 aprile 2020
Da qualche parte si è voluto notare che questo Papa – sempre più visibile in questi tempi di drammatico silenzio – sembra più dedicato alle cose terrene che a quelle spirituali. Più versato nella lettura dell’attualità, del reale, che nella meditazioni assorte nel misticismo. E un prete che lo conosce bene ha ricordato una sua frequente considerazione: “La vita reale è molto più bella della vita di fantasia”.
Papa Bergoglio è presente e attivo – praticamente da mane a sera – a causa o in virtù di una vicenda ormai protratta in un tempo nel quale la “politica sanitaria” (quella vera è vuota e assente da anni) sembra essere riassunta in quel “rimanete in casa!” la cui sigla ci accompagna con la sua scritta in ogni trasmissione video.
Questa sollecitazione, ormai diffusa mondialmente, non è più un invito ma un obbligo, il necessario rispetto del quale si fonda sulla paura, su un timore oscuro e profondo in una emergenza che non ha risposte se non quella, appunto, dell’autoreclusione obbligata. In questo contesto, la presenza costante del Papa fa come da contrappunto alla insufficienza della risposta alla paura, alla sua evidente, palpabile riduttività ma soprattutto ad un insuccesso, ad un fallimento, alla débâcle della scienza.
Il fiasco, chiamiamolo così, degli scienziati mondiali può certamente essere motivato dalla assoluta o quasi novità del Covid-19, ma la domanda che sempre più spesso non pochi si pongono rispetto alla visibile impotenza di una scienza ritenuta infallibile, contiene una risposta costretta a rivolgersi, non solo per chi ci crede, alla religione, all’ultraterreno, in una proiezione umana in uno slancio per il soprannaturale come rifugio e come speranza.
Scendendo da queste atmosfere mistiche, e coi piedi più a terra e più mondanamente, non pochi richiamano alla memoria il refrain della canzone che faceva, appunto: proviamo anche con Dio, non si sa mai…
La missione della mediazione con l’ultraterreno non può essere che del Papa, il cui ascolto è dunque assiduo, a cominciare, per i credenti più fervidi, dalla messa alla mattina fino, come accade ogni Pasqua, al messaggio “Urbi et Orbi”. Quello rivolto domenica scorso da Papa Bergoglio non poteva non essere un messaggio universalistico con i temi classici della implorazione e della intercessione, ma nelle svolte di un appello calato in un contesto esplicitamente europeo, gli argomenti di Bergoglio hanno assunto contenuti diversi dai soliti, sono scesi dalle invocazioni e dalle preghiere alle sollecitazioni terrene, alle esortazioni, agli stimoli, assumendo, e non involontariamente, un significato che ha nello sprone verso i responsabili di questa Europa una valenza in un certo senso politica. Che riempie, a suo modo, il grande vuoto di una politica allo stremo, chiusa, incapace di offrire progetti, slanci, soluzioni, un avvenire.
Un argomentare che risiede non tanto o non solo nell’invito pressante, ma comunque tipico del Papa, a rimediare fattivamente alla povertà di certi Paesi, ma ad abbandonare gli schemi, per dire di una Ue, in cui la prevalenza degli egoismi nazionali può essere la matrice di più vasti drammi. Non solo, ma il suggerimento a guardare con decisione non più all’indietro ma ad una nuova Europa, che rivolga occhi e attenzione al dopo, cioè al nuovo, diventano una linea che è non solo di comportamento, ma di scelta. Politica.
di Paolo Pillitteri