Ce la faremo solo liberandoci dei narcisisti

mercoledì 18 marzo 2020


Sui media e sui social è tutto un fiorire di “ce la faremo!”. Mi associo di cuore. Senza una fede e senza una certa dose di ottimismo ogni impresa è impossibile. Vieppiù oggi. E ripeto anch’io “ce la faremo”. Ma poi qualche dubbio mi prende. In che modo ce la faremo? Stando a casa, certo no. Contando sullo Stato e su un governo capace solo di provvedimenti statalisti e assistenziali e giustizialisti? No di certo. La fede è necessaria, ma vacilla e comunque, da sola, non basta. La mia fede vacilla quando vedo le motivazioni dell’ingenua fede di molti: “ce la faremo” perché “siamo i migliori, i più forti e i più fighi del mondo”, perché “l’Italia è il Paese più bello del mondo”, perché “abbiamo il 70 per cento (qualcuno dice persino il 90 per cento) delle opere d’arte del mondo”; perché l’Italia “è il Paese della bellezza, del buon gusto, della fantasia e dell’immaginazione”. Mi chiedo: Basterà tutto questo? Molti dicono: come dopo la seconda guerra mondiale “abbiamo” realizzato un miracolo economico, così ora ripeteremo l’impresa grazie ai nostri piccoli e medi imprenditori che hanno una dote che altri non hanno: l’immaginazione e la fantasia. Come se immaginazione e fantasia fossero un appannaggio dei soli italiani e di tutti gli italiani: quasi fossero un dono divino esclusivo, eterno e sempre rinnovantesi. Mi dico: ragazzi la fede, le bellezze non bastano, le glorie passate, la fantasia e l’immaginazione non bastano.

Ce la faremo sì, ma solo a condizione di usare anche la ragione e la volontà e soprattutto se non ripeteremo gli errori del passato. La prima condizione per farcela – probabilmente – è proprio che gli italiani abbandonino la loro convinzione profonda di essere, come Narciso, “cari agli dei” per bellezza, nascita e lignaggio, abitatori di una terra baciata dalle divinità del Sole, della Bellezza e della Fortuna, appartenenti ad una progenie speciale, protetta dal famoso “stellone d’Italia”. Nulla di veramente tragico ci potrebbe accadere, secondo questa specie di pensiero magico. E invece temo che siamo nel momento in cui l’oggettività delle leggi della Natura (col coronavirus) e dell’Economia (con i vincoli imposti da un pesantissimo Debito pubblico accumulato) stiano per prevalere sulle velleità soggettivistiche e sul facile ottimismo del “domani è un altro giorno e chi vivrà vedrà”. I miei dubbi aumentano poi quando ascolto la propaganda del governo e dei giornalisti e conduttori televisivi di regime che in linea con quei diffusi sentimenti di autoconsolazione affermano: “Per le misure prese dal governo italiano contro il coronavirus siamo un modello per tutto il mondo”.

Stiamo assistendo ad un’apoteosi di lodi reciproche, di incensamenti e di narcisismo a tutti i livelli. Il premier Giuseppe Conte è andato in tivù per dire che gli italiani sono “un popolo grandioso”, anzi di “eroi” solo perché stanno chiusi in casa e solo perché alcuni vanno sui balconi e si mettono a cantare l’inno di Mameli. Per ora. È stato proprio lo stesso Conte che ha lanciato la nuova parola d’ordine “siamo un modello” che gli altri paesi europei e persino gli Usa di Donald Trump starebbero imitando. Quale modello? quello del “tutti a casa”? In realtà si dovrebbe parlare piuttosto di “modello cinese” (sia senza le estreme sanzioni previste dal regime imperante in Cina), dato che è stato applicato nella regione di Wuhan già dalla seconda metà di gennaio e solo il 10 marzo dal governo italiano con tutti i disastri che ha provocato la prima fase del “tutto va bene, siamo al sicuro e all’avanguardia. Eravamo anche allora “un modello”? Conte pretenderebbe il copyright del modello anche non suo e qualsiasi esso sia. Il vero messaggio sottostante è: “State a casa tranquilli. Siete in buone mani. Siamo capaci addirittura di inventare un modello esportabile in tutto il mondo. Tireremo fuori un modello vincente anche per la ripresa economica”.

Come se si trattasse di inventare un “modello” e non di fare riforme dolorose per alcune fasce privilegiate (come le burocrazie statali, inclusa la magistratura) che mettano in grado imprenditori e famiglie di vivere e prosperare. Sono necessari anche tagli nelle spese più improduttive che rendano possibili tagli fiscali. Mi chiedo: sono gli attuali governanti in grado di concepire un tale “modello” (che poi è la tradizionale formula liberal-liberista dello Stato non assistenziale e non divoratore di risorse)? A ben vedere, c’è invece da preoccuparsi. Basta citare lo stanziamento di ben 600 milioni, deciso dal governo, nel quadro delle misure per l’epidemia, per salvare ancora una volta l’Alitalia a spese dei contribuenti e a debito. È un segnale molto indicativo di un modello statalista-assistenziale, come naturale proiezione mentale e politica del governo attualmente in carica. Occorre ricordare che invece il modello del miracolo italiano del dopoguerra fu liberale e liberista: contava non sullo Stato, sui salvataggi e sulle provvidenze statali e sulle alte tasse, ma soprattutto sugli spiriti animali dell’economia privata di mercato oltre che sulla solidarietà sociale e familiare. E comunque non basta la fede ingenua nel “ce la faremo”. Ci sono delle condizioni. Ce la faremo se potremo liberarci, appena possibile, del soggettivismo narcisista di certi politici, dediti alla pura propaganda e del coro di giornalisti e conduttori televisivi che tengono loro bordone.


di Lucio Leante