In troppi non hanno capito

martedì 17 marzo 2020


Oramai appare sempre più evidente che la gravissima emergenza mondiale causata dal coronavirus durerà ancora a lungo, con conseguenze impossibili da prevedere.

A tutta prima, sforzandoci di osservare il drammatico evento in prospettiva, di una cosa possiamo essere piuttosto certi: dopo la catastrofe le cose al mondo non saranno più le stesse di prima e molta acqua sotto i ponti dovrà passare prima che l’umanità possa tornare al medesimo tenore di vita precedente. E ciò vale soprattutto per l’Italietta dei debiti e della bassa crescita, perennemente orientata a cercare altrove la responsabilità di tutti suoi storici mali.

Quale che siano le misure che la Banca centrale europea della tanto bistrattata Christine Lagarde (la quale ha detto una cosa sacrosanta nel momento sbagliato) adotterà per sostenere la crisi economica e finanziaria già in atto, con la contemporanea caduta globale dell’offerta e della domanda, la quale si preannuncia di entità colossale, bisognerà entrare in un nuovo ordine di idee. In tal senso la nostra acquisita avversione per il classico “tirare tutti la cinghia” non rappresenterà affatto una semplice opzione sul tappeto, bensì l’unica alternativa possibile per iniziare a ricostruire la baracca. Ma, osservando quello che accade ai livelli più alti del Paese, a cominciare dalla sfera politica, mi sembra che siano veramente in molti a non aver compreso fino in fondo la natura radicalmente destrutturante del Covid-19, in particolare per società avanzate che hanno perso completamente la memoria di un passato, storicamente non molto lontano, in cui buona parte della popolazione viveva di autosussistenza.

E a proposito di questo, due notizie che ho appreso l’altro giorno dal Tg3 mi hanno particolarmente colpito, confermando appieno l’assunto, anche se di questo tenore ne escono a getto continuo. La prima riguardava un appello lanciato da alcuni assessori alla cultura delle più grandi città italiane a cui hanno già aderito oltre 120 personaggi famosi del mondo del cinema, della canzone, del giornalismo e di altre espressioni artistiche, tra cui Carlo Verdone, Roberto Bolle, Roberto Saviano, Gigi Proietti, Paolo Sorrentino, etc.. In pratica, al pari di tante organizzazioni che rappresentano una qualche forma di interesse costituito, questa gente chiedeva quattrini, ovviamente sotto la nobile causa di aiutare la cultura. In questo appello si paventano conseguenze gravissime per il Paese qualora non si adottino provvedimenti adeguati per sostenere il settore.

L’altra notizia, arrivata in serata, riguardava i provvedimenti che sta approntando il Governo per fronteggiare la devastante crisi economica in atto. Tra questi il cosiddetto bonus babysitter (un assegno di 600 euro per le famiglie con figli al di sotto dei 12 anni – alcune fonti riportano 14 anni) in cui i genitori non optino per il congedo parentale di 15 giorni con il 50 per cento di retribuzione.

Ora, per farla breve, un Paese che si trova da alcune settimane sotto le bombe di un virus micidiale, nella spaventosa eventualità di una grande moria determinata dalla crescente mancanza di posti di rianimazione, che fa? Si parcellizza in un mare magnum di settori organizzati il cui unico scopo sembra essere quello di battere cassa, mentre il Governo si balocca nella ricerca di nuovi bonus da distribuire a pioggia. Bonus i quali, considerando lo tsunami economico che si sta per scatenare, ci ricordano la regina Maria Antonietta di Francia che consigliava di distribuire brioche al popolo affamato.

In realtà, se tutti avessimo compreso non a chiacchiere quanto buia sia l’ora che stiamo vivendo, Giuseppe Conte e soci in testa, tutte le energie disponibili dovrebbero essere concentrate sul fronte sanitario, potenziando in particolar modo i citati posti di rianimazione. Tutto il resto, bonus, canzonette e filmetti, può aspettare. Come dicevano saggiamente i latini: “Primum vivere deinde philosophari”.


di Claudio Romiti