giovedì 13 febbraio 2020
Non v’è dubbio veruno che, come scrive il direttore, si sia svolto, ma ribaltato, il Giorno della memoria.
E, in questo caso, non contano i vuoti di memoria, ma le smemoratezze politiche aggiunte ad una mancanza di rispetto istituzionale (il no a Gasparri che rappresenta il Parlamento) che la dice lunga sulle vere e proprie carenze di stile, diciamo, anche e soprattutto di un avversario di schieramento, nel quali si ravvedono, da tempo, i depositi sempre più grevi di quell’odio del quale si rinfacciano colpe e responsabilità.
Va pure detto che in questa nefasta campagna troviamo un’altra assenza, un autentico vuoto: del Governo, che vaga di incertezza in incertezza sempre sull’orlo di una caduta che forse la propria debolezza intrinseca fa galleggiare.
A essere un po’ meno buoni in un simile giudizio, dobbiamo però ribadire che il Governo Conte Bis è segnato da un fallimento e, per di più, stando alla guida di un Paese che sta fallendo. Qualcuno osserva che è per colpa delle beghe interne – con i movimenti e le inquietudini dissenzienti di un Matteo Renzi alla quotidiana ricerca non solo di critiche feroci ma di una definitiva collocazione abbandonando, forse, le fin troppo facili contestazioni di chi vorrebbe stare dentro e fuori dal Potere – le quali, invece, non costituiscono la cagione di un fallimento ma semmai rovesciano il ragionamento.
I dati sul crollo della produzione industriale “registrano una situazione critica precedente all’emergere dell’infezione cinese” (Italia Oggi) i cui effetti sulle esportazioni sono destinati a sommarsi a quelli derivanti dalla guerra sui dazi. Esistono, di certo, fattori esterni di non poco conto, ma se l’economia italiana reagisce, e lo fa non positivamente, è anche è a causa di una debolezza intrinseca per i pochi investimenti e la non meno poca innovazione.
Ed entrano in gioco (e che gioco…) le responsabilità primarie di un Governo che, a ben vedere, per rianimare la domanda interna si è dedicato ad operazioni più o meno assistenziali che non potevano guadagnare l’effetto sperato sulla domanda, pesando sempre di più sul deficit col risultato di rendere più effimere le risorse per gli investimenti pubblici e per il sostegno a quelli privati. Anche e soprattutto in un quadro del genere occorrerebbe un vero e proprio ribaltamento dell’approccio, puntando decisamente sulla crescita, vale a dire sugli investimenti e sulla produttività, nel solco di una visione liberale e modernizzatrice. Ma ben sappiamo come sia impossibile tutto questo per un Governo che ignora se non calpesta la parola stessa “liberale”, continuando un’opera in cui le demagogie populiste, sommate alle patenti incapacità grilline, hanno condizionato e condizionano le fievolissime ispirazioni socialdemocratiche di un Partito Democratico, rendendo l’alleanza fra questo e il Movimento Cinque Stelle col Premier Giuseppe Conte, inconsapevoli della gravità della situazione.
Del resto, la politica nel suo complesso, dal nodo prescrizione al processo a Matteo Salvini, sembra arrotolarsi in un gioco dei quattro cantoni alla ricerca ossessiva di una presenza mediatica per la quale maestria e opportunismo di non pochi gestori di talk-show sono ovviamente chiamati in causa ma non più qualificandoli come conduttori o conduttrici (vero La7?), ma come protagonisti soverchianti, anche politicamente, i modesti parlamentari e ministri cercatori di primi piani, con sorrisi ruffiani.
Soccorre, come al solito, il proverbio dei nostri vecchi, antico ma pur sempre attuale: ride bene chi ride ultimo. E il Paese? Piange.
di Paolo Pillitteri