L’evidente squilibrio della separazione dei poteri

lunedì 30 dicembre 2019


La celebre separazione dei poteri – cardine dello stato di diritto – dovuta a Montesquieu e sulla quale molti amano discettare, a volte senza neppure capire bene cosa essa comporti, in Italia non funziona abbastanza.

È sotto gli occhi di tutti infatti che da alcuni decenni a questa parte e soprattutto negli ultimi anni, si è affermata una nuova Repubblica, quella giudiziaria, la quale in modo pervasivo influenza ogni aspetto della vita sociale e politica.

Ciò è dovuto probabilmente al fatto che mentre il potere esecutivo e quello legislativo non possono in alcun modo sindacare il potere giudiziario e neppure sono in grado di lambirne le modalità di esercizio, al contrario, quest’ultimo è legittimato a valutare in continuazione sia l’esercizio del primo che quello del secondo. In altre parole, mentre ministri, sottosegretari, parlamentari non hanno modo di mettere il naso nelle vicende giudiziarie, i magistrati delle Procure – che non sono neppure giudici – possono a lor piacere intromettersi nelle faccende che vedono quelli come protagonisti della vita pubblica.

Insomma, esiste un evidente squilibrio che fa della separazione dei poteri una separazione in certa misura fittizia e perciò incapace di garantire, come invece dovrebbe essere, la impermeabilità di un potere nei confronti dell’altro. L’effetto di questo squilibrio è che qualunque pubblico ministero di qualunque Procura italiana è in grado, in qualunque momento, di intervenire su qualunque espressione degli altri poteri, mettendone in grave crisi l’esercizio e gli scopi da raggiungere. Non solo. Costui potrà pure intralciare l’azione governativa e legislativa, come il caso recente dell’Ilva ha dimostrato, quando abbiamo assistito ad un vero braccio di ferro fra diversi governi di diverso colore politico che – allo scopo di mobilizzare e destinare alla vendita molte tonnellate di acciaio già finite e collocate presso l’acciaieria di Taranto – hanno dovuto confezionare decreti su decreti pur di superare l’ostacolo posto dal sequestro operato dalla Procura proprio su quelle tonnellate, considerate frutto del reato.

Insomma, sembra quasi che certi uffici giudiziari siano espressione di uno Stato diverso rispetto a quello ove invece si trovano ad operare il potere esecutivo e quello legislativo e ciò è davvero inammissibile.

Ne è ulteriore prova la vicenda di Catania, ove il Tribunale dei Ministri accusa l’ex ministro Matteo Salvini di sequestro di persona, accusa del tutto e palesemente infondata, come può bene capire – e subito – chi appena abbia sentore del perimetro concettuale del reato contestato: basti ricordare che i migranti della nave ferma al porto avrebbero ben potuto – se avessero voluto – tornarsene al luogo di partenza. E questo sarebbe sequestro di persona?

E tuttavia, Salvini rischia di essere processato per un reato inesistente, mentre i partiti si fronteggiano e litigano sul problema dell’autorizzazione da concedere o no.

In questo modo la contesa politica risulta inquinata da elementi estranei che non avrebbero dovuto in alcun modo intervenire.

Per arginare lo strapotere giudiziario, Angelo Panebianco ritiene doversi fare appello al buon senso dei suoi componenti, aggiungendo che quando un pubblico ministero assume iniziative a raffica che interferiscono gravemente con l’azione di governo, risultando infondate, allora dovrebbe essere rimosso o punito. Già. Tuttavia Panebianco dimentica che in Italia non esiste un sistema che possa condurre ad una tale rimozione o punizione.

Il Consiglio Superiore della Magistratura è organo inane, del tutto autoreferenziale e che obbedisce supinamente alla logica spartitoria delle correnti anche dopo il caso Palamara: mai sarà perciò in grado di fare ciò che dovrebbe. Lo si può riformare come e quanto si voglia, come pure è stato fatto in passato. Tutto inutile, finché non si faccia scoppiare il bubbone.

Il bubbone è rappresentato dalle correnti dei magistrati, veri partiti che ne costituiscono il cancro silente ma rovinoso. E lo ripeto: non si creda che dopo il caso Palamara sia cambiato qualcosa. Forse nelle forme, ma non nella sostanza. Bisogna allora avere il coraggio di proibire per legge le correnti. Ma solo a dirlo, si solleverebbero tutti : magistrati, giornalisti benpensanti, politici progressisti, ovviamente capeggiati da Marco Travaglio e dal Fatto Quotidiano.

Questa la prova migliore che sarebbe davvero la strada giusta: basterebbe fare l’esatto contrario di ciò che costoro chiedono. E non si sbaglia.


di Vincenzo Vitale