lunedì 23 dicembre 2019
Con due editoriali, documentati e argomentati, Ernesto Galli della Loggia e Paolo Mieli hanno affrontato sul Corriere della Sera il tema dell’antisemitismo in Italia e Gran Bretagna.
Mieli dimostra che il leader del partito laburista Jeremy Corbyn merita appieno le accuse e le censure di antisemitismo che svariate parti, anche autorevolissime, della società britannica gli muovono da tempo. E si stupisce che “la sinistra politica e culturale del nostro Paese (con alcune, purtroppo poche, lodevoli eccezioni) pur particolarmente attenta agli slittamenti antisemiti nel discorso pubblico italiano non abbia ritenuto meritevole di attenzione queste particolarità di Corbyn che hanno suscitato allarme persino nell’arcivescovo di Canterbury”.
Mieli dunque stigmatizza non solo “l’ambigua sinistra inglese” ma anche la sinistra italiana che evidentemente, Mieli non lo dice ma lo lascia supporre, fa prevalere a riguardo la scelta dell’affinità politica sul dovere della condanna morale. E qui soccorre Galli della Loggia, che investigando “la realtà profonda dell’antisemitismo” ne pone in luce la peculiarità italiana, definita una sorta di antisemitismo “indiretto” o “di risulta”. Sicché la variante italiana della peste antisemita (espressione nostra, questa) sarebbe alimentata anche “da un ultimo fattore: l’uso politico dell’Ebraismo da parte dei non ebrei, cioè l’uso che gli esponenti politici non ebrei – solo loro, solo e sempre esponenti della politica e dunque perlopiù, ahimè, personaggi agli occhi dell’opinione pubblica largamente screditati – fanno spesso e volentieri dell’Ebraismo”.
Antisemitismo “di rivalsa” e “d’invidia”, “vale a dire l’effetto aggressivo di un avvilimento, una forma di ottusa rivalsa per la capillare mortificazione che l’identità europea si trova a subire da tempo”, come si esprime Galli della Loggia, il quale pare considerarlo anche il risvolto dell’attestazione di un preteso “impeccabile status etico-ideologico”, non proprio “la manifestazione di un’effettiva avversione diretta nei confronti degli ebrei” ma una forma strumentale, occasionale ed enfatica, di adesione (“vicinanza/solidarietà/amicizia/stima ecc. ecc.”) all’Ebraismo. Il rabbino Roberto Della Rocca ha scritto sullo stesso Corriere della Sera che Galli della Loggia “ha messo bene in luce non solo le responsabilità della civiltà occidentale nella persecuzione e nell’odio verso gli ebrei, ma anche il senso di colpa conseguente che ne è derivato e che, a suo parere, sarebbe una delle chiavi principali per comprendere l’antisemitismo contemporaneo”.
A nostro modo di vedere, esiste un’altra linea di demarcazione che si diparte dalle considerazioni di Galli della Loggia. Troppi ambigui personaggi, anche non screditati, affollano la rumorosa categoria degli anti-antisemiti, come vorremmo definirla a nostra volta. Costoro sfoggiano un anti-antisemitismo cerimoniale, di maniera, ad uso e consumo di telecamere, talk-show, “social” e consigli comunali. Nelle aporie dell’esibita contrarietà all’antisemitismo, tipica di un certo strato politico-culturale della società italiana, è riscontrabile invece un latente cripto antisemitismo. Gl’Italiani anti-antisemiti, infatti, non sempre sono filo-israeliti, per non dire filo-israeliani. Dell’antisemitismo avversano il mallo anziché il gheriglio.
di Pietro Di Muccio de Quattro