L’antipolitica e i suoi veri artefici

Un fatto è certo: l’antipolitica è stata per molti anni la protagonista di una fase storica nella quale si manifestavano, da un canto i sospiri finali della Prima Repubblica e dall’altro si avvertivano i battiti (e pure le urla) del ribellismo leghista e, d’altro ancora, s’infervorava la presenza sempre più massiccia della giustizia, ovvero dei pm, nel sistema generale dei partiti. Sistema emblematizzato, nel crescere delle inchieste, da Bettino Craxi in primis e poi da Silvio Berlusconi.

Si sa come è andata a finire, ma la menzione pronunciata in Senato da Matteo Renzi, accomunando la figura di Craxi a quella di Aldo Moro (con un cenno, non inutile, all’ex Presidente Giovanni Leone), può di certo definirsi un’opportunità pro domo sua per via dell’inchiesta fiorentina, ma tende soprattutto ad una finalità per dir così alta, diversa cioè dalle necessità degli impulsi difensivi del caso, improntata ad una reazione attiva che rifiuta le consuete prese d’atto connotate di rassegnazione se non di resa della Polis in un contesto che da anni esprime la sua assenza di iniziativa, men che meno di contrasto, mostrando nel contempo un colpevole vuoto nei confronti dell’attività di una magistratura sempre più invadente degli spazi altrui. E per altrui intendiamo, ovviamente, colui che la volontà degli elettori ha eletto al Senato e alla Camera e, indirettamente, al Governo.

Ma in quella vera e propria filippica renziana, il nocciolo di una questione che viene da lontano, iniziava bensì dal colpevole vuoto (anche dello stesso Renzi di prima) ma poneva e pone una domanda di fondamentale importanza sia per gli addetti alla politica sia a chi ne esprime consenso o dissenso nelle chiamate alle urne.

In altri termini, la costante invasione di campo di una certa magistratura (il Partito dei Pm) ha sottomesso la politica, ne ha soffocato l’autonomia e umiliato il prestigio, mettendo così a rischio la democrazia liberale e lo stato di diritto cancellando il principio essenziale della separazione e della autonomia dei poteri.

L’antipolitica che nei tribunali ha avuto, da anni, i suoi trionfi in nome e per conto di accuse che da personali sono divenute generali colpendo non l’imputato ma un’intera categoria e affondandola, aveva ed ha contagiato non pochi partiti se è vero come è vero che il Movimento 5 Stelle, col suo populismo giustizialista, è oggi non solo al governo; ma il teorico delle manette ad ogni piè sospinto, con gli inviti dimaiani ad eventuali interventi giudiziari verificando a dovere il “mercato delle vacche” nel caso del passaggio alla Lega di un senatore pentastellato.

L’invasione di campo sopra accennata è stata ed è tanto più costante quanto più sono scese e scendono al suo fianco le schiere dei mass media, le cui responsabilità indirette ma concrete sono state condannate (a parole) da almeno mezzo secolo con conseguenze (non a parole) per uno qualsiasi dei citati o indagati; conseguenze a dir poco devastanti ben prima di qualsiasi processo, anzi di qualsiasi rinvio a giudizio. Con buona pace di quel garantismo che in genere si chiede per se stessi ignorandolo per gli altri.

Proprio mentre Matteo Renzi parlava, l’attivismo giudiziario non aveva sosta, infaticabile nella manifestazione dell’onnipotenza autonoma scandita dall’implacabile “non guardiamo in faccia a nessuno”. Ed è toccato a Matteo Salvini, indagato per quell’eterno e immancabile abuso d’ufficio che, a ben vedere, sarebbe ben poca cosa se non fosse per la solita esplosione dello strepito mediatico che ne ha esaltato il frastuono seppellendo il termine garantista in nome di una colpevolezza per dir così implicita, a mo’ di sentenza anticipata, tanto surreale per via di un avviso definito di garanzia quanto a dir poco disturbante per l’interessato.

Si potrebbe citare nei massimi sistemi, anche la fatalità della nemesi, il che tuttavia non sposta il problema, semmai lo complica col rischio di una indifferenza che, peraltro, già si nota dopo lo speech di Renzi. E il timore che le sue accuse di invasione di campo finiscano in una gara di indifferenza, in cui una certa nostrana politica eccelle, non è infondato.

E l’ombra del rinvio di questa super-questione sembra già avvicinarsi, in una sorta di gioco al massacro di cui la politica italiana è divenuta campione, concedendo proprio lei lo stesso suo spazio e, insieme, il suo ruolo all’inesausto attivismo di certi pm.

E sarà l’ennesimo trionfo dell’antipolitica e dei suoi artefici.

Aggiornato il 17 dicembre 2019 alle ore 10:07