martedì 10 dicembre 2019
La Cambogia e la Cina hanno avuto scambi diplomatici, economici, culturali e di altro tipo da molto tempo. Ve ne è traccia già a partire dal terzo secolo. La maggior parte degli storici ha appreso l’antica storia della Cambogia attraverso i testi scritti da diplomatici o commercianti cinesi. La Cina è l’attico della storia khmer.
Le relazioni tra i due Paesi persero vigore con la caduta dell’Impero khmer, dalla fine del XIII secolo fino alla metà circa del XX secolo. L’emergere della Cina negli ultimi anni ha profondamente influenzato la recente storia della Cambogia.
La Cina oggi è il Paese più popoloso del mondo e questo le dà l’ambizione di governare l’intero pianeta. Per realizzare il suo progetto, il governo di Pechino non ha esitato a commettere atti incompatibili con la vita umana: la rivoluzione culturale degli anni Sessanta, il massacro di Piazza Tienanmen nel 1989, la repressione di popolazioni indigene come tibetani, taiwanesi, uiguri e recentemente i cittadini di Hong Kong.
Sul fronte estero, spesso il governo cinese lancia i suoi progetti seguendo una tecnica ancestrale precisa: la fame. La fame è il punto debole di tutti gli esseri viventi in questo mondo. La fame serve come punto di appoggio per conquistare il mondo: si va dalle piccole imprese, alla ristorazione, dalla vendita di spezie e oggetti necessari per la vita quotidiana, all’assistenza finanziaria senza interessi. I partner della Cina ottengono automaticamente il riconoscimento e la gratitudine di Pechino. Ma questa accettazione è una scintilla. ”Le grandi deflagrazioni nascono da piccole scintille”, diceva Armand-Jean du Plessis, cardinale Richelieu. Nessun continente è immune a questo incendio. Dal Venezuela allo Sri Lanka, dal Myanmar all’Australia, per non parlare della Cambogia.
Nel 2010 ho visitato la Cina. All’aeroporto di Pechino ho visto un gruppo di cinesi accogliere una delegazione cambogiana che aveva viaggiato con il mio stesso aereo. Tra questi vi era Hun Manet, il primogenito del primo ministro cambogiano Hun Sen, all’epoca vicecomandante delle forze armate. Era stato l’inizio di un’importante collaborazione, addirittura militare, tra i due Paesi? Alcuni anni dopo, mentre transitavo da Shanghai, mi è capitato di parlare con uno studente cambogiano che aveva ottenuto una borsa dal governo cinese. Frequentava l’accademia militare in Cina e, come lui, molti altri giovani cambogiani avevano ottenuto una borsa di studio.
In 3 anni, 8 mesi e 20 giorni, tra il 1975 e il 1979, il regime dei Khmer Rossi, pienamente sostenuto dalla Cina, causò la morte di quasi due milioni di persone. Anche l’attuale regime dittatoriale, guidato ormai da oltre 34 anni dal primo ministro Hun Sen, è sostenuto dalla Cina. La creazione di una Chinatown nella città costiera di Sihanoukville, di un aeroporto nella provincia di Koh Kong e lo sviluppo di un porto militare a Ream si aggiungono all’assistenza militare e finanziaria (senza interessi), alla realizzazione di infrastrutture e allo sfruttamento minerario già esistenti in Cambogia. Naturalmente, i cinesi non sono solo impegnati nel settore pubblico. Sono onnipresenti anche nel settore privato: ristorazione, turismo, commercio, edilizia, abbigliamento, scarpe, borse.
Tra gli aiuti menzionati, nessuno è dedicato alla promozione dei diritti fondamentali, benché la Cina sia uno dei Paesi che ha votato a favore della Dichiarazione universale dei Diritti umani delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. È significativo il fatto che oggi, 71 anni dopo, la Cina voglia cambiare queste regole, che in ogni caso non ha mai rispettato, al fine di imporre un’interpretazione dei diritti umani con “caratteristiche cinesi”. C’è dell’altro: la Cina è uno dei 18 Paesi firmatari degli Accordi di Pace di Parigi sulla Cambogia del 23 ottobre 1991. Con l’assistenza delle Nazioni Unite, tali accordi, hanno portato ad una nuova Costituzione per la Cambogia e hanno stabilito il percorso che i firmatari si impegnavano a seguire per riportare la Cambogia verso la democrazia e il rispetto dei diritti umani. Sfortunatamente, per 28 anni, la Cina non ha mantenuto nessuno degli impegni assunti nel 1991 e oggi non si limita più a ignorare il patto sottoscritto, ma sostiene fermamente il regime di Phnom Penh, sia a livello nazionale e internazionale, autore di violazioni dei diritti fondamentali sempre maggiori. Pechino raggiungerà presto il suo obiettivo?
(*) Presidente del Consiglio generale del Partito Radicale
di Makarar Thhai (*)