L’Abramo Lincoln dei bibitari

mercoledì 24 luglio 2019


Dunque, il prode Luigi Di Maio, dopo aver abolito a chiacchiere la povertà, oggi cerca di emulare il ben più celeberrimo Abramo Lincoln, dichiarando guerra alla schiavitù del lavoro sottopagato. E lo fa sventolando il simbolo che in questi ultimi tempi ha scelto di contrapporre alle proposte fiscali degli alleati/rivali della Lega: il salario minimo.

Incurante da sempre dello stretto rapporto che esiste tra quest’ultimo e la produttività, l’ex bibitaro dello Stadio San Paolo di Napoli se ne è pubblicamente uscito con queste parole ad alto tasso di demagogia: “Vi diranno tutti che non si può fare, semplicemente perché non lo vogliono fare, mentre in 22 Paesi europei già è legge da molti anni. Parlano facile certi politicanti con il portafogli gonfio e stipendi da quasi 15mila euro al mese. Ma noi non ci arrendiamo e vi prometto che presto diventerà legge anche in Italia. Si chiama salario minimo orario: se hai un lavoro, non puoi prendere meno di 9 euro lordi l’ora. Altrimenti non è lavoro, è schiavitù”.

Ora, in primis è da notare l’ennesimo ricorso all’espediente dell’invidia sociale, richiamando l’attenzione sui compensi dei parlamentari, sebbene il nostro sembra dimenticarsi che i suoi colleghi di partito costituiscono il nucleo più numeroso di tali politicanti. Anche se, occorre ricordare, essi contribuiscono alla battaglia contro le diseguaglianze, tra le altre cose, versando ogni mese 300 euro alla Casaleggio Associati.

Ma è sul piano più strettamente economico che Giggino sembra non comprendere la portata negativa della sua proposta, la quale tenta di rinverdire i “fasti” di una sinistra sindacale che, alcuni decenni addietro, si batteva per far passare il concetto del salario quale variabile indipendente da tutto. In grandi linee, l’idea di stabilire a priori un compenso minimo porterebbe le aziende ad appiattirsi su tale soglia, eliminando tutta una serie di benefit concessi al lavoratore e, di fatto, superando la logica della contrattazione collettiva. Su questo fronte, le principali organizzazioni sindacali ed imprenditoriali da tempo si sono espresse recisamente contro la proposta sostenuta a spada tratta dal genio di Pomigliano d’Arco. Tuttavia, malgrado la pari contrarietà manifestata in merito dagli alleati leghisti i quali, diversamente dai teorici della decrescita “felice” a 5 Stelle, debbono sempre tener conto delle ragioni della produzione, Di Maio tiene duro, riproponendo a giorni alterni la sua emerita sciocchezza del momento.

D’altro canto, avrà pensato il capo politico dei grillini, dopo aver registrato una quasi impercettibile crescita dell’occupazione senza aumento della ricchezza reale, alias valore aggiunto, bisognerà pur far qualcosa per riempire le tasche dei presunti lavoratori schiavizzati. Ed ecco quindi l’ideona: stabilire i salari per decreto legge. Dopodiché, eliminate povertà e schiavitù del lavoro portando il sistema in recessione, gli elettori che ancora restano al Movimento 5 Stelle forse riusciranno finalmente a rendersi conto cosa significhi aver affidato il governo del Paese ad una compagine di scappati di casa senza arte né parte.


di Claudio Romiti