martedì 7 maggio 2019
C’erano una volta le Formiche. Ricordate Gianroberto Casaleggio? Le Formiche erano, meglio, dovevano essere (i grillini, per dire) quelle che “seguono una serie di regole applicate al singolo attraverso le quali si determina una struttura molto organizzata ma non centralizzata. Una formica non deve sapere come funziona il formicaio, altrimenti tutte le formiche ambirebbero a ricoprire i ruoli migliori e meno faticosi. Creando un problema di coordinamento”. Casaleggio dixit. Allora. E ora?
Il governo non era comunque del tutto imprevedibile, qualche anno fa quando massime del genere non solo circolavano ma si imponevano in quello che sarebbe presto diventato il Movimento pentastallato. Sullo sfondo politico di quei tempi si stagliavano forti e sicuri i non pochi media che nel proclamare la fine dei partiti tradizionali ne auspicavano la discendenza nella loro opposizione, nell’irruento partito grillino, spesso se non quasi sempre estimatori di quello speciale giustizialismo dell’ex comico genovese specializzato non tanto a colpire i partiti, tutti o quasi corrotti e sopravvissuti alla precedente tempesta di Mani Pulite ma a delegittimarli con proclami giustizialisti tout court.
Ed è finita come è finita, ma con un Salvini che aveva fatto tesoro di quei proclami demagogici, lui leghista e successore di Bossi & Maroni e per ciò stesso non immune dalle responsabilità del potere, locale e nazionale, ma pur sempre populista, pur sempre nordico e non poco giustizialista. E il premio degli elettori ne confermò l’intuizione trasformatasi in un’alleanza con il M5s destinata a governare l’Italia. Formiche e lumbard sono dunque in quel Palazzo che da quando c’è ne ha viste bensì di tutti i colori ma, al tempo stesso, ha influenzato la struttura intima dei suoi ospiti ministri giacché il contagio del potere non è una febbre qualsiasi, se di febbre vogliamo parlare.
Tant’è vero che sia i pentastellati che, soprattutto, i leghisti sono cambiati, sono diversi, come a rispettare l’eterna legge dei film di Ford pronunciata da un invecchiato ma sempre grande John Wayne con un “Tutto cambia, tutto deve cambiare, anche nel West”.
E anche da noi, anche e specialmente quando si va al governo luogo nel quale nascono i casi anche e soprattutto in quegli ambiti frequentati proprio dal giustizialismo. Che non è soltanto mediatico, può diventare una sorta di boomerang in modo particolare per chi ne ha sventolato la bandiera per ottenere consensi elettorali che, nel caso pentastallato ma anche in quello salvinian-leghista, è stato prodigo di voti a favore.
Le vicende di Siri s’inquadrano in un questo contesto: di una Polis governante ma inevitabilmente soggetta ai venti e alle maree di qualsiasi coalizione tanto più se il vento viene soffiato anche dal suo interno trasformando inevitabilmente una questione giudiziaria individuale in un problema politico nel quale le dimissioni di un sottosegretario sono di certo l’oggetto primario riguardante una persona sola, ma non possono non produrre effetti a latere in cui lo stesso Salvini se non coinvolto viene comunque lambito in quanto leader indiscusso, oltre che vicepresidente del Consiglio.
Che non può non implorare proprio quel garantismo del quale, in un passato recente, non era stato per dir così né esaltatore né propugnatore, né deriva una situazione politica la cui caratteristica è, per ironia della sorte, un garantismo inaspettato, speciale, sui generis che rischia se non di cambiare certamente di adattare le cosiddette regole del gioco al nuovissimo scenario, e un capo come Salvini questo lo sa benissimo, semmai è il come e cosa fare che lo inquieta al di là delle più che probabile dimissioni di Siri al quale, anche in queste ore, nulla viene risparmiato, a cominciare dall’appartamento nell’hinterland milanese ma, soprattutto, dai pressanti inviti a dimettersi di un Di Maio, per l’occasione sempre più televisivo, predicante e sorridente in una special del pirandelliano “così è, se vi pare” che, per la Politica con la “P” maiuscola, dovrebbe essere il punto di partenza per un programma, per un disegno, per un progetto. Di riforme, quelle vere. Invece così è, se vi pare.
di Paolo Pillitteri