Le vere ragioni di una probabile crisi di governo

lunedì 6 maggio 2019


Al netto di una campagna elettorale che sembra scritta da Eugene Ionesco, noto esponente del “Teatro dell’assurdo”, vi è una ragione assai più sostanziale che spiega gli attuali dissidi politici, se così li vogliamo definire, tra la Lega e il Movimento 5 Stelle.

Dissidi che, se la logica ha ancora un senso in questo mondo ribaltato, dovrebbero rapidamente evolvere in una irreversibile crisi di Governo. Una prospettiva, quest’ultima, la quale è stata volutamente accelerata dalla presa di posizione forcaiola dei grillini sul caso Siri.

Da questo punto di vista, il sempre più disperato Luigi Di Maio, stritolato dal combinato disposto del fallimento economico della sua linea e della concorrenza interna della fazione giacobina capeggiata da Alessandro Di Battista, spererebbe in cuor suo di arrivare alla rottura con lo scaltro Matteo Salvini prima delle elezioni europee del 26 maggio, addossando all’eventuale ex alleato l’intera responsabilità di un disastro che è oramai sotto gli occhi di tutti.

Ma al di là di qualsiasi scenario di corto respiro, è noto anche ai sassi che la situazione dei conti pubblici, in relazione all’andamento stagnante della nostra economia, imporrà tra pochi mesi una manovra di aggiustamento assai rilevante, nell’ordine di alcune decine di miliardi di euro. E in tal senso non ci possono essere fughe in avanti, come quella di agire sulla leva del deficit, facendo ulteriormente lievitare l’indebitamento pubblico. Con una crescita praticamente al palo, che in soldoni si traduce in una minore capacità di estrarre risorse dall’economia per finanziare gli interessi sul debito, ed una politica di bilancio di spese allegre, l’unico modo per non far aumentare l’avversione al rischio Paese percepita dai mercati finanziari è quello di ridurre i due indicatori macroeconomici in questa ottica più rilevanti: il rapporto debito/Pil e quello deficit/Pil. Anche perché, repetita iuvant, per evitare il rischio di innescare una catastrofica spirale fatta di tassi di interesse crescenti che generano livelli sempre più alti di indebitamento, è fondamentale che il costo medio dei relativi interessi sia minore dell’incremento nominale del Prodotto interno lordo.

Attualmente, per capirci, in assenza di interventi significativi come l’aumento dell’Iva previsto dalle famigerate clausole di salvaguardia (aumento ovviamente scongiurato a chiacchiere dai maghi dell’Esecutivo giallo-verde), il deficit per i prossimi due anni è destinato letteralmente ad esplodere, mentre la crescita nominale del Pil, con una inflazione che viaggia intorno all’uno per cento, a conti fatti si rivelerà drammaticamente insufficiente per coprire le falle di un sistema in rapida via di fallimento.

Dunque, per tornare alle questioni politiche, appare evidente che nessuno nella maggioranza dei miracoli abbia la benché minima intenzione di intestarsi le sempre più necessarie misure lacrime e sangue per quanto meno tamponare una condizione finanziaria che si preannuncia catastrofica. D’altro canto, quando si scassano i conti, dopo aver preso i voti promettendo più spesa corrente e meno tasse per tutti, non basta un miracolo per restare indenni nella stanza dei bottoni.

Quando il partito della realtà avanza inesorabile, l’ora delle scelte irrevocabili batte sui cieli italiani: o si taglia la spesa pubblica con l’accetta o si impone una montagna di nuove imposte, o ambedue le cose. Trattasi, soprattutto per chi è cresciuto politicamente a pane e demagogia, di uno scenario agghiacciante. Molto meglio, dunque, trincerarsi dietro la linea forcaiola, chiedendo la testa dei presunti corrotti di turno, e attendere tempi migliori. Nel frattempo il Paese va in malora, ma questo è evidentemente solo un dettaglio.


di Claudio Romiti