martedì 30 aprile 2019
Libia, la svolta del governo italiano è finalmente arrivata, come previsto e invocato. Quel “né con al-Sarraj né con Haftar” pronunciato dal premier Giuseppe Conte in quel di Pechino conferma l’acquisizione da parte dell’Esecutivo, della Farnesina e degli apparati di sicurezza della consapevolezza dell’errore di aver riposto la salvaguardia dell’interesse nazionale interamente nel campo islamista dalla caduta di Gheddafi in poi.
L’attuale situazione di difficoltà dell’Italia nel complesso scacchiere libico è infatti il risultato dell’appiattimento sulle posizioni del Qatar a sostegno del governo di al-Sarraj a Tripoli, finito sotto il costante ricatto di figure e cricche politiche espressione dei Fratelli Musulmani, a ognuna delle quali corrisponde una delle tante milizie armate dalla Turchia di Erdogan che continuano a tenere in ostaggio la capitale.
È giusto ribadire che le responsabilità di tale appiattimento vanno attribuite ai precedenti governi Renzi, ma Conte, Salvini e Moavero hanno ricevuto con piacere e connivenza questa eredità lasciatagli dall’ex primo ministro. Messo alle strette dall’offensiva del generale Haftar su Tripoli, uno scostamento dalla linea islamista era nell’ordine delle cose per l’attuale Esecutivo, pena la totale marginalizzazione dell’Italia nel suo dossier principale di politica estera. Tra i Paesi coinvolti nella crisi, a sostegno di al-Sarraj restano concretamente solo Qatar e Turchia, di cui il portavoce dell’Esercito Nazionale Libico, Ahmed Al Mesmari, guidato da Khalifa Haftar ha annunciato l’imminente deferimento presso gli organi di giustizia internazionali per aver interferito negli affari interni della Libia finanziando e armando milizie e gruppi terroristici.
I “big players”, Stati Uniti, Russia e Francia, appoggiano l’operazione intrapresa da Haftar, mentre Gran Bretagna e Germania sono anch’esse in fase di riposizionamento, dopo aver preso definitivamente atto del fallimento dei negoziati per la riconciliazione nazionale promossi dalle Nazioni Unite. L’inviato speciale dell’Onu, Ghassan Salame, intendeva tentare il tutto per tutto con il nuovo round di colloqui che si sarebbe dovuto svolgere nell’oasi libica di Gadames alla metà di aprile, ma con l’offensiva su Tripoli Haftar ha decretato la fine di un processo che trascinandosi inconcludentemente per cinque anni ha avuto come esito solo il rafforzamento dell’influenza e del potere di ricatto dei Fratelli Musulmani e delle loro milizie su al-Sarraj. In quali iniziative la svolta italiana potrebbe materializzarsi? Liberandosi dal giogo islamista che ne ha finora vincolato scelte e operato, l’Italia può svolgere finalmente un ruolo decisivo, quale “honest broker” tra i vari attori coinvolti.
Al-Sarraj temeva uno sganciamento del governo ed era giunto a minacciare l’invasione di 800 mila migranti. Il suo vice, Ahmed Maitig, si è persino recato a Roma per rincarare la dose, paventando centinaia di terroristi dell’Isis pronti a unirsi ai migranti in procinto di salpare verso le coste italiane. La visita del ministro degli esteri del Qatar, Mohamed Al Thani, era volta a ottenere la riconferma della fedeltà alla linea pro-Fratelli Musulmani a cui l’esecutivo si era attenuto fino a quel momento, sulla scia del “consenso” sul futuro della stabilità del Nord Africa sancito da Conte con l’emiro Tamim Al Thani a Doha all’inizio di aprile.
Tuttavia, già il successivo incontro tra Moavero e il ministro degli esteri francese, Jean-Yves Le Drian, lasciava intuire che il governo era in procinto di muovere i primi passi verso un aggiustamento della propria posizione. Lo aveva capito anche Haftar, che attraverso il ministro degli esteri del governo provvisorio di Tobruk, Abdulhadi Lahweej, aveva teso all’Italia la propria mano. Le dichiarazioni di Conte dalla Cina, dove ha parlato di Libia con Vladimir Putin e il presidente egiziano Al Sisi, sostenitore della prima ora di Haftar, equivalgono a un’ammissione dell’errore commesso, come richiesto da Lahweej, e alla manifestazione della volontà d’intraprendere un nuovo percorso.
Si tratta, da parte italiana, della mera constatazione del cambiamento degli equilibri delle forze in campo. Una constatazione che dovrebbe fare anche al-Sarraj insieme alle milizie di Misurata e il governo Conte si trova adesso nella posizione ideale per persuadere entrambi in tal senso. Il mantenimento del contingente militare italiano a Misurata, del quale Al Mesmari aveva richiesto la rimozione facendo parlare esageratamente politici ed esperti di “ricatto”, può essere di grande utilità diplomatica anche per l’Esercito Nazionale Libico. L’Italia può essere pertanto la chiave di volta per il raggiungimento di un cessate il fuoco e di un successivo accordo di pace che ponga fine al conflitto intra-libico, il cui vincitore politico è il generale Haftar e gli sconfitti sono i Fratelli Musulmani. Anche Qatar e Turchia dovranno farsene una ragione.
di Souad Sbai