Gli allegri cantori della spesa in deficit

venerdì 22 febbraio 2019


Intervenendo a “Piazzapulita”, Carlo Cottarelli ha manifestato in maniera autorevole i gravi rischi che un Paese strutturalmente fragile come il nostro sta correndo, soprattutto a causa di una linea economica del Governo che, complice il forte rallentamento della congiuntura in atto, sembra destinata a far esplodere i conti pubblici. A ciò ha risposto, con la tipica enfasi di chi appare convinto di incarnare una sorta di verità rivelata, Mario Giordano, confutando in radice le più che ragionevoli preoccupazioni espresse dall’ex commissario alla spending review. Secondo il giornalista tuttologo, infatti, l’Esecutivo giallo-verde avrebbe dovuto usare la leva del deficit di bilancio in modo assai più drastico, infischiandosene altamente dell’Europa e dei mercati finanziari. Questi ultimi, sempre a parere di Giordano, sarebbero chiaramente sobillati da certa stampa italiana, i famigerati giornaloni, chiaramente ostile agli attuali partiti al potere.

D’altro canto, l’idea che basti spendere a casaccio, così come in effetti si sta realizzando con l’impresentabile Legge finanziaria dei fenomeni del cambiamento, valanghe di quattrini presi a prestito è oramai divenuta una credenza popolare, tanto da essere ripetuta come un mantra dai numerosi cantori del nuovo corso della nostra politicaccia. Tra questi si distingue l’esimio professor Antonio Maria Rinaldi, che proprio in questi giorni ha tenuto a precisare in vari interventi televisivi che lui non si sarebbe limitato a contenere il disavanzo nei limiti contrattati con la Commissione europea, ossia il ben noto 2,04%. Si poteva benissimo sforare, bontà sua, fino al 5, 6%, mica bruscolini.

A tale proposito, a beneficio di chi crede nella religione del deficit spending, con annesso eden di benessere da essa realizzato, è già ampiamente sufficiente lo sforamento previsto dal Governo per mandare a carte quarant’otto la vitale sostenibilità del nostro mostruoso debito pubblico. Anche perché, con un Pil in caduta libera – il che in soldoni significa meno gettito tributario allargato per il Tesoro - e in assenza di una impopolare manovra correttiva lacrime e sangue, il conseguente aumento del rischio Paese è destinato a riverberarsi in tempi brevi sui tassi d’interesse, causando un drammatico quanto inevitabile effetto domino per l’intera struttura economico-finanziaria del Paese. E quando tutto ciò verrà traslato nelle tasche dei cittadini comuni, i quali ancora non stanno toccando con mano, se non marginalmente, gli effetti della svolta pentaleghista, allora è probabile che gli allegri cantori del cambiamento avranno qualche problema a raccontare la favola di un sistema che prospera gettando vagonate di miliardi nello sciacquone del voto di scambio. Perché, in definitiva, di questo si tratta.


di Claudio Romiti