venerdì 1 febbraio 2019
Tanto tuonò che piovve. Dunque la paventata recessione, seppur con la sfumatura “tecnica”, alla fine è arrivata. Per il secondo trimestre consecutivo il Pil registra il segno meno. Uno 0,2 per cento negativo che molti degli analfabeti funzionali di questo Paese, ben indottrinati dalla teoria governativa dei “numerini”, riterranno trascurabile.
In realtà si tratta di una sorta di De profundis per la scriteriata manovra economica dell’Esecutivo pentaleghista, dato che con questo risultato, il quale anticipa una chiara tendenza in atto nel Paese, reddito di cittadinanza e quota 100 si allontanano a passi lunghi e ben distesi, a meno di non mandare rapidamente a carte quarantotto il bilancio dello Stato facendo letteralmente esplodere il disavanzo. Senza poi contare l’enorme ipoteca contratta dai geni della lampada con l’Europa negli anni a venire, sotto forma di un colossale aggravio delle cosiddette clausole di salvaguardia: molte decine di miliardi di euro, 52 per la cronaca, da trovare per impedire un drastico aumento dell’Iva nei prossimi due anni.
Con i venti di crisi che, assai più che altrove nel Vecchio Continente, spirano in Italia, l’inevitabile conseguenza di un deciso calo del gettito tributario allargato determinerà l’impossibilità concreta di onorare, seppur in parte, le strampalate promesse elettorali di Lega e Movimento 5 Stelle.
In sostanza, come dimostrano i citati “numerini”, mentre le esportazioni hanno retto molto bene la fase di rallentamento globale, la domanda interna e gli investimenti hanno trascinato al ribasso la nostra capacità di creare ricchezza. Ciò, a parere di parecchi analisti non schierati con la linea dei miracoli giallo-verde, è dipeso essenzialmente dal clima di incertezza che le misure elettoralistiche (quest’ultime spesso condite da una ridda di annunci spesso oltre i confini della realtà) dei due partiti al potere sta drammaticamente determinando.
E a nulla servirà continuare a raccontare favole e a divulgare cartelli e slide, come si ostina a fare Luigi Di Maio con una inarrivabile faccia di bronzo. Lui e i suoi soci al Governo si stanno comportando come “scimmie al volante”, secondo una brillante definizione di Alberto Forchielli, espressa nel corso di una recente puntata di “Otto e mezzo”. Lo stesso noto imprenditore e giornalista, interpellato da Lilli Gruber in merito alle misure più importanti del “Governo del cambiamento” è stato lapidario, con il suo inconfondibile accento bolognese: “È un Paese di vecchi e ne mettiamo ancora di più in pensione; è un Paese con la più bassa popolazione attiva del mondo e gli diamo il sussidio; abbiamo le strade a pezzi, che andare da Roma a Bologna sembra di fare la Parigi-Dakar, e non facciamo le infrastrutture; siamo un Paese di analfabeti e non spendiamo in istruzione”.
Ci sarebbe da scompisciarsi dalle risate se non stessimo nella stessa barca di chi regge il timone. Ma dato che così stanno le cose, non ci resta che piangere, in attesa di tempi peggiori, ahinoi!
di Claudio Romiti