giovedì 31 gennaio 2019
Non avrebbe alcun senso rimanere in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe americane. Per cui l’annuncio della ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, dell’avvio delle procedure tecniche per il rientro in patria della missione italiana a Kabul è sbagliato nella forma ma corretto nella sostanza. Non ci sarebbe voluto un grande sforzo nel comunicare la decisione, nel corso di una qualsiasi riunione del Consiglio dei ministri, anche al ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. In questo modo, oltre la sostanza, sarebbe stata rispettata anche la forma. Ed il Governo avrebbe evitato di fornire una ennesima dimostrazione di scollamento tra protagonismi e personalismi motivati dalla semplice ricerca di visibilità.
Ma la vicenda del ritiro dall’Afghanistan non si risolve con una considerazione sull’assenza di bon ton tra i ministri o con qualche tirata anti-americana sulle guerre sbagliate degli Stati Uniti. Nel dibattito parlamentare che dovrà necessariamente chiudere formalmente la fine della missione militare sarà indispensabile affrontare un tema appena sfiorato dalla ministra Trenta nell’annuncio del rientro dei soldati. Quello che riguarda l’interesse nazionale per una presenza militare nel Mediterraneo ed in Africa piuttosto che in qualche Paese lontano dall’area geopolitica nazionale.
Si può essere d’accordo o in disaccordo sulle parole della ministra della Difesa. Ma bisogna essere soprattutto consapevoli che quelle parole contengono una radicale revisione della linea sulle cosiddette missioni umanitarie seguita per decenni dai più disparati governi italiani. Fino ad ora sono stati gli impegni con gli organismi internazionali (dalla Nato all’Onu) a determinare l’impiego delle Forze Armate all’estero. D’ora in poi, seguendo una linea neo-isolazionista, si sceglie l’interesse nazionale a quello, spesso ipocrita, dell’umanitarismo internazionale.
Il Parlamento, poi, non si deve limitare a registrare questo cambio di strategia. Deve anche chiarire quali possono essere i confini dell’interesse nazionale stabilendo se al loro interno rientra l’impiego sul terreno delle Forze Armate. Cioè se nell’area geopolitica italiana è consentito l’uso delle armi in difesa dell’interesse nazionale.
In Nigeria, ad esempio, si andrebbe come corpo di polizia di frontiera o come missione militare? Ed in Libia, dove a detta del presidente Emmanuel Macron le truppe francesi sono già impegnate “sul terreno” in appoggio al generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar contro i terroristi, i nostri soldati si dovrebbero limitare ad addestrare le truppe scarse del governo di Tripoli o imitare quelle francesi, magari controllando i porti da dove partono gli scafisti, anche a rischio di sollevare l’accusa di interventismo neo-colonialista?
C’è da augurarsi che la ministra Trenta vada in Parlamento e risponda a questi interrogativi. Magari dopo averne parlato in Consiglio dei ministri!
di Arturo Diaconale