Il dibattito politico: cosa bolle in pentola?

lunedì 17 dicembre 2018


La telenovela dell’approvazione della Legge di Bilancio prosegue senza clamorosi colpi di scena. Il finale è già scritto ed è tecnicamente “aperto”, nel senso che non risolve tutte le trame narrative svolte nel corso del 2018, ma le sospende per consentirne la ripresa nella stagione successiva. Perché la politica funziona come i palinsesti televisivi che alternano la messa in onda di interminabili feuilleton ai finti bagni di sangue dei reality.

Ora, che i “giornaloni” si affannino a restituirci il pathos del melodramma vissuto per minuto nell’attesa del cupio dissolvi dell’anomala maggioranza parlamentare giallo-blu è solo un espediente per vendere più copie. Lo sanno benissimo loro e ancor di più ne sono consapevoli tutti i figuranti del teatrino politico che quel adesso-casca non regge, i pentaleghisti insediati al potere ci sono e faranno di tutto per rimanerci nelle condizioni più confortevoli. Da tale premessa consegue un’inevitabile considerazione per chi si prodiga nel mestiere di commentare le notizie: alzare lo sguardo, giusto sopra l’orizzonte visuale della quotidianità per cercare di scorgere cosa vi sia dall’altra parte della realtà. E in questi momenti di baruffe chiozzotte tra leghisti e grillini, ciò che vediamo sullo sfondo sono, da un lato, le doglianze dei cosiddetti corpi intermedi della società per essere stati emarginati dalla nuova politica neanche fossero anticaglie del passato; dall’altro, l’operosità della “Casaleggio & Associati” nel promuovere la conoscenza delle più avanzate tecnologie digitali. L’equidistanza dai fatti del punto di osservazione consente di scorgere nitidamente il collegamento esistente tra i due fenomeni individuati. Al capezzale del grande malato dell’intermediazione sociale sono accorsi i massimi esperti di sociologia. Anche organi costituzionali come il Cnel ed istituti accreditati per grandi competenze, come il Censis, si sono occupati del problema. Ma la diagnosi è assai poco incoraggiante.

Come ha spiegato ieri Dario Di Vico dalle colonne del Corriere della Sera, riportando l’analisi del sociologo Mauro Magatti, la rappresentanza è in crisi perché è andata avanti sulla cooptazione delle proprie classi dirigenti e sul funzionamento di strutture organizzative fortemente burocratizzate. Essi, più che generare valore per i propri rappresentati, hanno tratto profitto dalla rappresentanza. E se oggi il potere politico mostra di non riconoscere peso ai corpi intermedi lo fa sul presupposto che i medesimi sono ridotti a simulacri della difesa d’interessi collettivi. Sindacati e associazioni datoriali hanno fallito il compito di riqualificare la mediazione sociale ed ora, pur di restare in gioco, debbono accontentarsi del margine di visibilità che il potere politico concede loro chiamandoli a concelebrare la residua liturgia degli antichi riti della consultazione istituzionale. Non che le cose che si dicono ai tavoli di contrattazione abbiano grandi possibilità d’incidere sull’azione di Governo, ma per gli strenui difensori di un potere in disfacimento è già un buon risultato il fatto che siano convocati. Se si è giunti a questa condizione di certo la responsabilità maggiore è dei corpi intermedi che hanno dato pessima prova di se stessi assorbendo il peggio dalla mala politica nel pretendere di gestire, grazie alla copertura di una legislazione favorevole, funzioni e servizi che avrebbero dovuto essere regolati dal mercato. Tuttavia, sarebbe riduttivo farne soltanto una reazione alla corruttela del sistema. La realtà è che il progresso tecnologico, consentendo di trasferire sulle autostrade digitali buona parte delle interazioni tra individui, pone sempre più in crisi la categoria concettuale dell’intermediazione. Stanno cambiando le traiettorie di sviluppo della società per effetto dei processi di mercato rivoluzionati dalla globalizzazione. Come spiega Giuseppe De Rita, richiamato nell’articolo di Dario Di Vico: “I corpi intermedi italiani sono stati legati sempre all’orizzontalità, le categorie marciavano di pari passo con i sistemi locali. Oggi i processi di mercato esaltano la verticalità, la globalizzazione, la spinta ad esportare”.

In tale proiezione di scenario è inevitabile che la funzione mediatrice non trovi spazio. Ed è su questo punto che s’innesta il contatto con l’attivismo odierno di Davide Casaleggio. Il “Fatto Quotidiano” per rimarcare la sua cifra scandalistica ha acceso i riflettori sul cervello dei Cinque Stelle, paventando un’illecita attività di lobbying che la sua azienda, forte della presa sui grillini al Governo, avrebbe incrementato. in realtà, Davide Casaleggio più che fare qualche affaruccio impegna le sue risorse per anticipare il futuro. In questi giorni sta promuovendo la conoscenza del Blockchain. Si tratta di una tecnologia fondata sulla logica degli archivi distribuiti, cioè “un insieme di sistemi concettualmente caratterizzati dal fatto di fare riferimento a un registro distribuito, governato in modo da consentire l’accesso e la possibilità di effettuare modifiche da parte di più nodi di una rete”. S’immagini un meccanismo a doppia chiave asimmetrica che, grazie all’utilizzo di algoritmi crittografici, abiliti l’utente a sottoscrivere qualsiasi tipo di atto o di transazione. S’immagini allora che un tale sistema venga esteso alle funzioni connesse alla cittadinanza partecipata, come ad esempio: l’esercizio del voto, la formulazione di proposte nell’interesse della cosa pubblica, l’adesione a petizioni popolari, il rilascio di pareri su iniziative legislative. Se tutto ciò dovesse rendersi possibile in un futuro prossimo, non solo il ruolo dei corpi intermedi nelle dinamiche sociali andrebbe definitivamente in crisi, ma la natura stessa e il funzionamento della democrazia su base rappresentativa parlamentare sarebbero pesantemente compromessi. Il tema è sul tappeto e prima o dopo andrà affrontato, possibilmente senza le lenti partigiane del pregiudizio ideologico.


di Cristofaro Sola