venerdì 7 dicembre 2018
C’è un rischio recessione produttiva, parola di Paolo Savona. Il ministro per le Politiche europee, intervenendo alla presentazione del libro “Gli Arrabbiati” di Roberto Sommella, ha detto senza mezzi termini che con una recessione incombente il dovere del Governo è di agire in fretta. Perciò, l’Italia non può attendere la lenta transizione che dalla seconda metà del 2019 porterà l’Unione europea ad avere un ricambio nelle istituzioni comunitarie. È del tutto evidente che il professor Savona sia allarmato per i segnali negativi che arrivano da diverse parti.
Primo indizio. Il prezzo del petrolio al barile è crollato questa mattina a 51,05 dollari, dal picco di 76 dollari di inizio di ottobre. Analogo andamento di mercato per il greggio Brent. L’Opec e la Federazione Russa stanno per decidere un taglio sulla produzione giornaliera allo scopo di fermare la caduta del prezzo. Tuttavia, non è detto che la misura contenitiva riuscirà nell’intento di tenere in linea il valore di mercato della materia prima energetica, giacché il prezzo precipita quando la domanda cala.
Secondo indizio. All’inizio della settimana a Wall Street si è registrata un’inversione della curva dei rendimenti obbligazionari Usa. In particolare, il differenziale tra i rendimenti a 3 e 5 anni è scivolato in territorio negativo. Evento straordinario che da molti analisti finanziari è stato interpretato come la prima avvisaglia di un’incipiente recessione produttiva. Anche se tradizionalmente è lo spread tra il rendimento dei “Treasuries” a 2 e 10 anni ad essere considerato l’indicatore più affidabile per pronosticare l’approssimarsi di una fase recessiva, resta il fatto che il complessivo appiattimento dei tassi sui Titoli di Stato Usa è un campanello d’allarme per la Federal Reserve. La Banca centrale statunitense sarà costretta a interrompere il ciclo delle strette monetarie, ripreso nel 2015 e giunto in settembre alla sua ottava fase, per fermare almeno temporaneamente l’aumento del costo del denaro. D’altro canto, era prevedibile che vi potesse un periodo di allentamento nella corsa al rialzo del Prodotto interno lordo statunitense dopo due anni di straordinario impulso impresso alla crescita dalle politiche economiche aggressive del presidente Donald Trump. Due elementi in particolare stanno agendo da forza frenante: il calo dei consumi delle famiglie americane pur in presenza di un basso livello di disoccupazione e la guerra commerciale in atto con il colosso cinese. Comunque, il tendenziale di crescita del Pil Usa si attesta al +3,1 per cento, nel 2018, con una previsione di calo al +2,5 per cento per il 2019.
Terzo indizio. L’economia tedesca, fortemente condizionata dalle performances del comparto produttivo dell’automotive, ha segnato nel terzo trimestre una contrazione della crescita dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente. I tedeschi derubricano la frenata a fattore assolutamente congiunturale. L’introduzione di una normativa più severa sulla fabbricazione di auto a diesel avrebbe comportato una riduzione della produzione di autovetture, in particolare nel mense di agosto. Da qui il calo nel terzo trimestre. Tuttavia, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann si è affrettato a chiarire che “la ripresa in Germania e in Europa resta intatta”. Ma quanto ciò sia vero è tutto da verificare. Sulle istituzioni economiche tedesche aleggia sempre il sospetto che non dicano la verità per non incrinare il mito, preso in prestito dal puritanesimo americano del Diciannovesimo secolo, del “destino manifesto” della Germania per l’Europa, speculare a quello degli Stati Uniti d’America rispetto al Nord America e all’Oceano Pacifico. Evidentemente il nostro ministro delle Politiche europee, non nutrendo il medesimo ottimismo dei tedeschi, pensa al ricorso anticipato a misure anticicliche per fare argine ad un’imminente inversione di segno del vettore della crescita. Osservati speciali sono la stretta correlazione dell’export italiano al sistema produttivo tedesco e, sul fronte interno, la scarsa propensione delle famiglie ai consumi, come le recenti rilevazioni dell’Istat hanno documentato. Mentre sul primo aspetto bisognerà attendere la piega che prenderanno gli andamenti del commercio globale, sul fronte domestico la politica ha ampio margine di manovra.
Allora, se Maometto non va alla montagna, è bene che sia la montagna ad andare da Maometto. Tradotto in misure di Governo, significa sostegno ai consumi attraverso lo strumento dell’immissione di liquidità nel circuito. Lo scoglio che il Governo giallo-blu ha trovato sul suo cammino è l’integralismo della Commissione europea nell’adesione alla filosofia della stabilità monetaria dell’Unione da perseguire mediante la rigorosa applicazione ai bilanci degli Stati membri della “clausola di convergenza”. I giallo-blu inizialmente hanno provato a opporsi, ma ben presto si sono resi conto che i guardiani di Bruxelles non hanno fatto una piega, avendo dalla loro un formidabile strumento di pressione: il terrorismo psicologico che spaventa i mercati finanziari e spinge in alto lo spread dei Titoli del debito sovrano italiano. Ora si è nella fase del dialogo, il che non è affatto sbagliato.
Alla luce del vaticinio di Paolo Savona, i target in sequenza per l’Esecutivo sono: l’approvazione alle Camere della Legge di Bilancio, riveduta e corretta in base agli accordi con la Commissione, la rapida chiusura del contenzioso con Bruxelles e la partenza a razzo con i provvedimenti legati allo sblocco degli investimenti pubblici. Dal “Decreto semplificazione” alla cancellazione dell’orrido Codice degli appalti, la “mission” dell’Esecutivo è di sciogliere le briglie alle imprese perché ricomincino a investire. Se si traguarda per il 2019 l’obiettivo del +1,5 per cento di crescita del Pil, anche in costanza di una fase recessiva della produzione globale, i conti pubblici si tengono e le misure anticicliche prese in deficit potranno essere metabolizzate senza particolari traumi per il rapporto Debito/Pil. Se ci si crede, si può fare.
di Cristofaro Sola