Politica: parole e presenze sul medium

lunedì 3 dicembre 2018


Non sembrino una sorta di maledizione o di incubo i movimenti, fuori e dentro il Governo, che i cosiddetti partiti stanno assumendo. Non siamo per la critica tout court, costi quel che costi e col il “no” gettato loro fra le gambe (e le dichiarazioni in tivù) giorno dopo giorno.

S’è capito che dei giudizi contrari al Governo di coalizione a due (Lega-M5S) son piene le fosse, gettati via, quasi sempre senza cenni di replica per così dire ad hoc. Talché sorge il sospetto che i presi di mira, tutti o quasi, siano di fatto indifferenti ai non pochi “no” per le più svariate ragioni, non tanto o non solo per l’idiosincrasia di qualsiasi homo politicus alle tirate di giacca fattegli per mestiere e non per piacere, ma soprattutto perché auto-privati della necessità di replica politica sostituita da una sorta di obbligata visibilità fine a se stessa sul medium preferito: la televisione, appunto.

Un medium privilegiato, et pour cause staremmo per dire, in un quadro “politico” come il nostro, e forse varrebbe la pena di contarne le presenze pluri-quotidiane nelle quali si propongono agli italiani dando ogni volta l’impressione che il fare politica sia diventato un fare audience in virtù delle videate piuttosto che per la necessità di una presa di posizione di contrasto.

La sensazione, insomma, è che il medium per eccellenza non soltanto sia il mezzo indispensabile ed efficace per comunicare, ma venga trasformato da strumento ad essenza, da medium a istituzione sostitutiva e rappresentativa, a luogo in cui l’esserci, la presenza fa aggio sia sui contenuti ma soprattutto sulle istituzioni per dir così elettive, Camera, Senato e così via.

Quando il nostro direttore evoca la storica battaglia napoleonica delle Piramidi a proposito del presidente Roberto Fico, contribuisce a una riflessione più ampia sul ragionamento che si sta facendo, e capita così che proprio un presidente della Camera dei deputati, l’istituzione per così dire al di sopra delle parti (partiti), diventi, di certo consapevolmente non casualmente, un sostenitore di posizioni esattamente all’opposto a quelle del Governo sul caso Regeni e sul Global Compact su cui il ministro degli Esteri ha detto la sua, com’è suo compito politico-istituzionale.

Intendiamoci, nulla di grave e di irreparabile se volgiamo lo sguardo a quelle che vengono definite le cose che contano come, ad esempio, la nuova legislazione sul lavoro che, a sentire Marco Bentivogli della Cisl, è una vera e propria débâcle con la retromarcia del Governo su Industria 2.0 e con 40mila occupati in meno in sei mesi; per cui le preoccupazioni sono anche per i lavori a tempo indeterminato, come nel settore metalmeccanico con indici che suggeriscono come il comparto si stia fermando, secondo la Cisl, per colpa del taglio agli incentivi all’Industria 4.0, del taglio delle infrastrutture, dell’annullamento del sostegno alla formazione professionale all’interno delle aziende. Risultato? Renderle meno competitive e facendo scappare quelle straniere.

Si sa e si dice che i grillini sono digiuni di governo e si cita a proposito la politica dell’uno vale uno. Ma non è una politica, ma un preambolo, un motto, bonne à tout faire che, comunque, li dovrebbe preservare da altri scivoloni non lievi, basti pensare che l’elettorato è diventato mobile qual piuma al vento cosicché le stesse leadership politiche sono fragili e scontano o pagano gli errori, a volta anche clamorosi, perché su uno sfondo noto a tutti, sia storicamente che mediaticamente. Salvo reagire quasi sempre con arroganza.

Talché appare una sorta di legge crudele del contrappasso per chi ha fatto del medium il luogo più privilegiato, l’episodio di qualche sera fa su La7 da Giovanni Floris quando Mario Calabresi ha, come si dice, asfaltato Luigi Di Maio sulla base di una semplicissima precisazione e cioè che in una delle querele mandategli dal Movimento Cinque Stelle ad essere querelato non è Mario ma Luigi Calabresi, il padre del direttore de “la Repubblica”, il commissario Calabresi la cui morte risale al 1972. Poiché il figlio Mario li ha rimproverati per la superficialità e la sciatteria del modo di fare, anche ora che sono al Governo, il ministro al Lavoro ha replicato senza scusarsi ma ribadendo con un fare sbrigativamente arrogante che si è trattato, semmai, di un errore formale.

Come è stato commentato appropriatamente, per loro vale il vecchio proverbio texano: “Grande cappello, niente mandria”. O forse gregge.


di Paolo Pillitteri