giovedì 22 novembre 2018
Con la scontata, almeno fino ad un certo punto, bocciatura della Manovra di bilancio da parte della Commissione europea, la evidente strategia ricattatoria messa scientemente in atto dal Governo giallo-verde si sta rivelando del tutto fallimentare.
Il resto della Comunità, segnatamente quella che fa parte della moneta unica, non ha alcuna intenzione di sostenere le politiche di deficit-spending dei nostri geni della lampada, spinti a farlo dall’idea di non poter accettare il default di un Paese che presume di essere “too-big-to-fail”. In questo senso mi sembra di poter dire che ci troviamo di fronte ad una sorta di ricatto del somaro che non sembra avere alcuna possibilità di successo. Il resto dei nostri partner europei tra la prospettiva indicata dall’Italia, in cui si frantuma ogni forma di necessaria convergenza finanziaria per restare all’interno della zona euro, e quella di subire eventuali contraccolpi da un suo eventuale fallimento del tutto auto-inflitto, non sembrano avere molti dubbi nello scegliere la seconda opzione.
Aprendo di fatto la strada per una durissima procedura d’infrazione, Bruxelles non lascia molte alternative ai cervelloni che in pochi mesi hanno distrutto quel poco di credibilità internazionale che ci restava, creando una paralizzante situazione di incertezza resa plasticamente tangibile dall’esito catastrofico, con poco più di 800 milioni raccolti, dell’asta dei Btp quadriennali rivolta ai risparmiatori italiani.
In pratica o l’Italia cambia la Manovra o sotto i nostri piedi si apre un baratro il quale, in assenza di profondi e rapidi cambiamenti politici, ci porta dritti dritti verso una irrimediabile uscita dalla moneta unica. Anche perché, a beneficio di chi ignora la natura interconnessa del sistema finanziario europeo, la linea del “me ne infischio”, del “tiriamo avanti costi quel che costi”, se ostinatamente reiterata non può che determinare per l’Italia due esiziali conseguente: l’esplosione dello spread, con l’impossibilità di servire il colossale debito pubblico, e a caduta l’uscita dal circuito internazionale dei prestiti, con la chiusura dei rubinetti da parte della Banca centrale europea.
In altri termini, o si tratta con gli odiati “euroburocrati” o si rischia di andare a gambe all’aria, tertium non datur.
di Claudio Romiti