martedì 23 ottobre 2018
Domenica di scontri al vertice e di discese (come si dice) in campo di big, come un Matteo Renzi che ha lanciato i suoi comitati civici, per non pochi osservatori di natura squisitamente elettorale e comunque battezzandoli con uno speciale viatico caratteristico, peraltro, di questa terza o quarta Repubblica, in nome e per conto di quell’americano “va e uccidi!” da Renzi, per l’appunto, riassunto e sventolato nell’obiettivo da colpire e affondare: il governo in carica, in governo dei cialtroni (sic!)
Dalla parte opposta non è stata esattamente una “laude” al medesimo governo, quella elevata da Beppe Grillo nella sua ultima kermesse. E neppure moderata, per dire. Diciamocelo: il padre del movimento più “nuovo” di questi anni non è stato tenero nei confronti dell’accoppiata Di Maio-Salvini e se ne capisce il motivo. Che è politico.
Politico nel senso più pieno del termine che, pure, dovrebbe essere alieno per il facitore, e con successo, della ventata antipolitica che, peraltro, è entrata a Palazzo Chigi. Ma non da sola. Con quell’altra ventata che nuova non è di certo ma lo è il suo soffiatore, quel Salvini che discende pure dai lombi bossiani ma ne ha per dir così sacrificato l’esteriorità della voce per potenziarne i toni aspri, le battute caustiche, gli annunci antimoderati classificandosi, con personale soddisfazione, né più né meno che a destra.
Matteo Salvini è di destra, non tanto o non soltanto nelle (secondo taluni) intemerate quotidiane anti-immigrazione pronunciate dall’alto della guida degli Interni, invadendo, spesso e volentieri, ambiti degli Esteri, ma nella struttura portante di una politica per dir così ex novo, quella innanzitutto dentro i vecchi muri leghisti ma per forza di cose spinta dentro il nuovo cerchio di quella che si chiama(va) alleanza di centrodestra.
Il fatto è che la tendenza dell’attivismo salviniano esonda dagli ambiti per dir così di competenza anche e soprattutto tenendo conto di quella speciale stretta a due, quella appunto fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio e che il nostro direttore, proprio nella misura con cui la definisce puntualmente come un matrimonio senza alternative, ne rivela le inevitabili tensioni interne prodotte da un attivismo senza tregua. È un Salvini all’opera, giorno e notte. Un attivismo con punte estreme, esplicato dal Governo, non contro, dal Palazzo Chigi, non contro il Palazzo. Dal suo interno. A suo modo, una novità. Fin che dura, come si dice a Milano.
Si capiscono dunque, e meglio, i toni non esaltati e esaltanti di Grillo alle prese con un quadro assai diverso, con una situazione in movimento, su uno sfondo “politico” che ruota intorno ad una sorta di cerchio magico chiamato governo nel quale la presenza grillina ricopre bensì le vesti dell’alleato sine qua non, ma ne rivela, al tempo stesso tempo, una sorta di, se non di debolezza tout court, certamente non di forza e comunque non di primo piano.
E sullo sfondo che conta, quello mediatico, in cui si muove la coppia di Palazzo Chigi, il ruolo del patron leghista sembra assai più di spicco e comunque più propulsivo di quello del compagno pentastellato di avventura governativa costretto costui, quasi inconsciamente come un Tria in seconda battuta, a fare i conti quotidiani con Borsa e spread, un duo sempre meno amico dell’Italia, come rivelano i campanelli d’allarme fatti risuonare a Bruxelles con tanto di risposta, da Roma, con una sorta di “me ne frego! che, storicamente, non ha mai avuto molta fortuna, da noi.
A Grillo, si sa, simili slogan non dispiacciono, ma dipende dai ruoli, dalla posizione oltre che dal momento della e nella Polis giacché il grillismo di oggi non è, ci sia consentito il paragone, di un vino puro come quello versato dalle botti dell’opposizione, del No Tav, No Tap, No Vax, No Governo, No Euro, No Europa e tutti a casa (gli altri). Oggi quel liquore è cambiato e la musica che si suona nelle feste pentastellate è accordata e modulata con gli organi del Palazzo più Palazzo di tutti. Si capisce che Grillo ce la metta tutta a contestarlo. Anche se a qualche maligno fa venire in mente “Scherzi a parte”.
di Paolo Pillitteri