martedì 25 settembre 2018
Nel tempo in cui tutta la politica, nei partiti e nel Parlamento, è assorbita dalle questioni economiche e finanziarie, acuite dalla preparazione della legge di bilancio, non reputo affatto inattuale ricordare a deputati e senatori il dovere di discutere e approvare la legge elettorale.
Nelle ultime legislature l’Italia è stata costretta ad assistere alla lotta invereconda dei partiti per approvare una legge elettorale non già allo scopo, ipocritamente dichiarato, di conseguire rappresentatività e governabilità, bensì di perseguire l’interesse preminente dei capipartito e dei loro famigli alla salvaguardia del seggio e della rielezione.
Questa lotta non è né patriottica né costituzionale, perché intenzionalmente indirizzata a manipolare il genuino voto elettorale, la sovranità popolare e perciò il vero governo rappresentativo. Non è mai stata una contesa tra il bene e il male, ma la ricerca di scambievoli garanzie tra i contendenti. Esiste una ragione intrinseca, ontologica, per la quale una legge elettorale non dovrebbe essere elaborata ed approvata da chi dovrà misurarvisi, ed è che solo un partito politico eroico sa spogliarsi della propria forza in vista della superiore salus rei publicae. Solo una volta nella storia, durante la Rivoluzione francese, l’Assemblea nazionale costituente decretò l’ineleggibilità dei suoi membri alla successiva Assemblea legislativa. È stato anche detto che, per ottenere davvero una legge elettorale rispettosa di tutti, dovrebb’essere votata all’insaputa dei futuri contendenti, sotto il velo dell’ignoranza dei probabili o soltanto possibili conseguenti risultati. Purtroppo tutto questo pare irrealistico, almeno alla luce delle ultime vicende italiane a riguardo.
Nel “Codice di buona condotta elettorale”, elaborato nel 2002 dalla Commissione europea per la democrazia e il diritto (c.d. Commissione di Venezia) del Consiglio d’Europa, si possono leggere i seguenti paragrafi:
L’Italia ha violato smaccatamente, più volte, tale Codice, in special modo la prescrizione, politicamente e logicamente inoppugnabile, secondo cui dev’essere evitata la revisione ripetuta della legge elettorale e comunque la revisione che interviene meno di un anno prima dell’elezione, perché “anche in assenza di volontà di manipolazione, questa apparirà in tal caso come legata ad interessi congiunturali di partito”. Figuriamoci in presenza di siffatta volontà: esclusiva, concreta, manifesta, come dimostratasi nelle ultime tre leggi elettorali.
Pertanto, è preciso e ineludibile dovere del Parlamento appena insediato riportare la legge elettorale nell’alveo della legalità costituzionale e della correttezza politica, restituendo lo scettro agli elettori. Per attendere a tale compito, senza distrarre più del necessario il Parlamento dalla sua naturale attività, può istituirsi nella Camera o nel Senato una commissione speciale referente, che svolga il primo esame delle proposte presentate e rediga il testo da sottoporre all’Assemblea.
Questo è un dovere da assolvere subito, sia per cancellare quel carattere di “oligarchia temperata dal voto” che il sistema ha assunto per effetto delle leggi elettorali in questione, sia perché soltanto se approvata ad inizio di legislatura la legge è compromessa il meno possibile dalla “volontà di manipolazione”, sia perché l’incertezza sugli esiti futuri di lontane elezioni spinge naturalmente i partiti a comportarsi, finalmente, con reciproca lealtà e, soprattutto, con assoluto rispetto della sovranità spettante al popolo, non a loro stessi.
Sarebbe troppo chiedere al presidente della Repubblica d’inoltrare al Parlamento un messaggio di sollecito?
di Pietro Di Muccio de Quattro