lunedì 2 luglio 2018
L’attenzione dei media in questi giorni si è focalizzata sull’inarrestabile cavalcata di Matteo Salvini alla conquista della maggioranza assoluta degli italiani. Si dà per scontato che la sua strategia punti alla cannibalizzazione degli alleati del fu centrodestra. Nulla si dice del vero bersaglio dell’azione politica della Lega che non è Forza Italia, che riesce benissimo a farsi del male da sola senza che qualcun altro ci metta becco, ma i Cinque Stelle.
Per comprendere l’ampiezza del progetto salviniano bisogna alzare lo sguardo distogliendolo dalle beghe quotidiane. Cosa praticamente impossibile per l’opposizione di sinistra la quale, avendo perso tutto, si aggrappa all’illusoria speranza che l’avversario si auto-affondi. Non accadrà. Il leader leghista è già proiettato nelle dinamiche globali che animeranno il prossimo decennio. E studia come restarci da protagonista. Se non si capisce questo è difficile comprendere il resto. Salvini intende portare fino in fondo l’attuale legislatura. Cinque anni di tempo sono un margine sufficiente per rimodulare l’ordine di priorità delle istanze dell’elettorato. Dalla sua ha la solidità di una visione che incrocia il sentire profondo del Paese. Non altrettanto possono dire i Cinque Stelle. Il Movimento, sebbene abbia conseguito un indiscutibile successo nelle urne, continua ad essere l’entità idroponica che abbiamo descritto negli ultimi anni. Senza ancoraggio a una storia politica e ideale che gli fornisca i mezzi e le motivazioni per la costruzione di una grande strategia di governo, il partito grillino non ha altra possibilità di tenuta se non quella di disporre la prora dell’azione politica in favore di vento. Giacché l’idem sentire della nazione spira in direzione della riaffermazione identitaria del Paese sulla scena globale, i grillini non hanno altra scelta che adeguarsi. Cosicché se il popolo, stimolato nelle sue corde conservatrici, si pronuncia per l’autonomia e l’indipendenza rispetto a quelle entità esterne, sia statuali sia sovrannazionali, che vorrebbero rendere l’Italia funzionale al soddisfacimento di interessi stranieri, i Cinque Stelle si piegano ad assumere un assetto programmatico proprio di un partito di destra. Salvini lo ha compreso e, anziché contrastare il fenomeno temendo la concorrenza grillina nel proprio bacino di consenso, sta lavorando per agevolarne il percorso. Il “Capitano” non è madre Teresa di Calcutta, se lo fa non è perché è buono con i suoi nuovi amici. Il suo tornaconto sta nel fare esplodere le contraddizioni all’interno del Movimento pentastellato nella prospettiva che si produca una frattura tra l’ala governista e quella di sinistra, filocomunista vintage. Le due anime che convivono nel Cinque Stelle non sono indistinte ma si presentano strutturate, con dei leader riconosciuti. Per la prima Luigi Di Maio, per la seconda Roberto Fico.
Ora, il vice-premier ha un problema che deve risolvere entro il tempo di durata dell’odierna legislatura: deve trasformare il grillismo in “Dimaismo”, anche per esorcizzare lo spettro del ritorno sulla scena di Alessandro Di Battista, che incombe su di lui. Benché giovanissimo, Di Maio ha conseguito risultati individuali inimmaginabili per un qualsiasi altro suo coetaneo, pur fornito di più robusto curriculum. Se dovesse attenersi alla regola vigente nel Movimento, al massimo tra cinque anni la sua esperienza parlamentare sarebbe conclusa. Pensate che il giovanotto, dopo aver frequentato per un decennio i vertici delle istituzioni repubblicane ed esserne stato protagonista, si rassegni all’idea di tornarsene in quel di Pomigliano d’Arco a cercare lavoro? Ci sembra poco probabile. E come lui in molti nel Movimento iniziano ad accarezzare l’idea di restare in sella oltre il limite statutario. Per potersi dare un futuro in politica Di Maio e i suoi debbono abiurare la natura anti-establishment della loro organizzazione. Per farlo hanno bisogno di avere dalla loro l’azionista di riferimento, che è la Casaleggio & Associati, nonché la maggioranza degli iscritti. Sanno bene che l’unanimità sarà impossibile, almeno fin quando all’interno continuerà a vivere la frazione ortodossa degli irriducibili amici di Roberto Fico, movimentisti di sinistra. Quindi, l’unica soluzione è costringerli ad andarsene. Non a caso nella polemica scoppiata ieri tra lo stesso Fico e Salvini sull’atteggiamento da tenere rispetto alla questione dell’accoglienza degli immigrati, Di Maio si sia schierato con il secondo e non con il primo. Salvini, dal canto suo, incassa e ringrazia. Il “Capitano” mira alla ricomposizione del blocco sociale di riferimento del fu centrodestra, arricchito dell’apporto del serbatoio “qualunquista” dell’anti-politica sui generis grillina. Tale rimodulazione della maggioranza di governo in chiave sovranista/conservatrice chiamerebbe le componenti del fu centrodestra, attualmente all’opposizione, e i post-grillini, rigenerati dalla trasformazione governista/moderata operata da Di Maio, alla formazione di una nuova destra politica. La rivoluzione “copernicana” consacrerebbe il leader leghista quale fulcro unico e inamovibile del nuovo assetto. Ma un riposizionamento strategico che supera di gran lunga l’orizzonte asfittico del tatticismo è destinato a incidere sulla visione di società.
È per questa ragione che Salvini ieri a Pontida non ha avuto alcun timore a dire che il tempo del suo potere è appena iniziato e durerà trent’anni. Una spacconata propagandistica? Tutt’altro. Ci ha ricordato un lontanissimo Francesco Nuti, nei panni del campione di biliardo all’italiana in “Io, Chiara e lo Scuro”. Salvini, come il protagonista del film, si prepara a giocare un’ “ottavina reale”. Colpo a otto sponde e biglia in buca d’angolo.
di Cristofaro Sola