L’orizzonte di Forza Italia

giovedì 28 giugno 2018


È sbagliato dire che il centrodestra avanza, perché una simile affermazione serve solo ad indorare la pillola. La verità conviene dirsela sempre, anche quando non è proprio commestibile: nella stragrande maggioranza dei casi ha vinto la Lega con l’aiuto di quelli che ormai sono divenuti dei cespugli di memoria ulivista. E i cespugli generalmente, pur avendo vita indefinita, durano fino a quando un nuovo progetto più appealing non stuzzica l’appetito del partito di maggioranza della coalizione.

Detto, fatto: già si mormora di un possibile accordo organico tra Lega e Pentastar, ipotesi scontata e prevedibile per chi non crede ingenuamente alla fedeltà in politica. Ciò implica che il vecchio centrodestra, per come lo conosciamo, è ineluttabilmente destinato alla rottamazione e non per colpa di Matteo Salvini. Del quale si potrà dire che è un potenziale traditore, che ha anteposto le sue personali aspirazioni agli interessi del centrodestra, che si è smarcato per andare con il Movimento Pentaqualunquista o che si accinge a creare una coalizione brutta come la moglie di Emmanuel Macron. Ma non si può dire che Salvini sia uno sprovveduto o che non abbia un formidabile intuito politico: la “Casa delle Libertà” ha tre dei quattro pilastri pericolanti e la parte sana non poteva permettersi di rimanere sepolta dal crollo dello stabile. Ma mentre il pilastro neo democristiano è ridotto a un mozzone e quello di destra poggia debolmente sul nulla, i problemi statici più gravi sono sul versante forzista, il muro (una volta) portante sul quale tante volte si sono annunciate ristrutturazioni mai compiute.

Favella significa che forse la verità è in posizione mediana rispetto a ciò che affermano Ernesto Galli della Loggia e Arturo Diaconale: il primo dipinge Forza Italia come un partito di plastica in smobilitazione mentre il secondo ricorda che una buona fetta di quel partito ha rappresentato per oltre un ventennio una parte consistente della classe dirigente del Paese. Due affermazioni che convivono perfettamente.

Forza Italia ha avuto successo perché ha intercettato i “claim” di una società che stava cambiando, fornendo come risposta il programma elettorale del ’94 (il miracolo italiano), una semplificazione del quadro politico in senso bipolare ma anche un nuovo modello basato sul decisionismo e imperniato sugli “uomini del fare” prestati alla politica cialtrona. Piaccia o no, Forza Italia ha innovato, ha spalancato le finestre e spazzato via la polvere nelle stanze istituzionali. Pian piano il partito fondato da Silvio Berlusconi, Antonio Martino, Giuliano Urbani (cioè tutta gente perfettamente in grado di vendere un sogno e realizzarlo) è rimasto vittima della burocrazia partitocratica e si è chiuso nei palazzi lasciando spazio ai casting, ai leader nominati dal capo in perfetto stile Caligola il giorno prima e ritenuti privi del quid il giorno dopo, alle amazzoni avvenenti, alle posizioni improvvisate su temi cruciali, a qualche signore dei consensi, al culto del caro leader che non andava contraddetto mai e ai patti nazarenici che cancellavano lentamente l’identità del partito deposizionandolo sul mercato politico (anche Matteo Salvini ha fatto un patto ma lo stile Lega è ben visibile al Governo).

I figli crescono, le mamme imbiancano e i leader invecchiano, si sa: ed è per questo che la continuità non si improvvisa ma si assicura per tempo attraverso un meccanismo di selezione che avvicini al partito le forze migliori del Paese permettendo che queste ultime rivitalizzino posizioni incrostate e sacche persistenti di potere immeritato (che a volte è uscito dalla porta per tornare dalla finestra). Con tutta evidenza questo non è avvenuto ma si è preferito l’effetto annuncio accompagnato da titoloni di giornale ripetuti fino alla noia almeno una volta alla settimana: “Berlusconi riscende in campo”, “la strana idea di Berlusconi, come rivoluziona Forza Italia”, “questa volta Silvio fa sul serio e torna in pista”, “l’asso nella manica di Silvio”, “la pazza idea del Cavaliere” e chincaglieria simile.

Chiaro che all’ennesimo “pre-ultimatum” la gente ti mandi a stendere perché ti vede come un sepolcro imbiancato. Ma se Giorgia Meloni – a tendere – potrebbe avere la botta di fortuna di essere risucchiata nel nuovo polo gialloverde (ormai egemonizzato dalla Lega in tutti i sondaggi), per Silvio Berlusconi trovare una nuova collocazione a questo punto è veramente arduo tanto più se su Europa, immigrazione e su tutti quei temi caldi continuerà ad avere una posizione ondivaga o smaccatamente filo establishment. E dal silenzio assordante che circola in casa forzista negli ultimi tre mesi, appare chiaro quanto questo pericolo sia ampiamente percepito.


di Vito Massimano