giovedì 28 giugno 2018
Scusatemi se sbaglio, come si dice, ma non sembra proprio che la nuova Italia auspicata dal Governo in carica (nuovo anche lui) stia marciando a tappe forzate verso i traguardi immaginati e spesso immaginifici, prefissati se non addirittura fissati su una sorta di carta da bollo.
Intendiamoci, lungi da noi qualsiasi critica onnicomprensiva, e soprattutto gratuita, per il semplice motivo che la nuovissima compagine è soltanto agli inizi anche se il diluvio di parole, di tweet, di special e di tv suggerisce qualche considerazione critica tanto più che l’effluvio di cui sopra non sembra affatto in diminuzione. E lasciamo sullo sfondo, per un attimo, ma solo per un attimo, ciò che resta del Partito Democratico dopo il 4 marzo (che comunque non è poi così poco) alle prese con problematiche interne cui la sconfitta sembra aver aggiunto una sorta di silenzio rotto di tanto in tanto da rumori simili a dei brontolii, prodotti in un corpaccione dimagrito assai di cui, il meno che si possa dire, è che non è affatto chiara quale sia la sua funzione, la ragion d’essere, lo scopo di fondo per una formazione nella quale è giunta alla fine la rappresentanza sociale del tempo che fu del Pci, e quella essenzialmente istituzionale del suo seguito, il Pd di oggi. Donde l’obbligo, prima o poi, di una ricerca e di un ragionamento, peraltro non facili.
Il Governo Salvini-Di Maio, come lo si chiama di solito, benché le ultime tornate del suo divenire abbiano assistito a una ripresa del vero rappresentante con sede a Palazzo Chigi, con un Premier che sembra muoversi con meno legacci col duo di cui sopra, tant’è vero che ha trovato il tempo giusto per un incontro a quattr’occhi nientepopodimeno che con Emmanuel Macron in una visita riservata esclusivamente al Papa. Eppur si muove, come si dice.
Il duo, dal canto suo, si muove eccome e, soprattutto nel caso di Luigi Di Maio, muove la bocca nel senso che non si contano le dichiarazioni ad ogni ora del giorno, al di là degli stessi problemi sul tappeto che, nell’illusione che basti una loro copertura per dir così mediatica, vengono di volta in volta evocati e rinviati a dopo il bilancio insistendo, per converso, su faccende cosiddette spicciole ma capaci di attirare consensi – spiccioli o meno – perché tendono a colpire i cosiddetti privilegi della Casta, ovviamente di prima, come nel caso dei vitalizi agli ex parlamentari per cui, tuttavia, si otterrà un risparmio di circa 40 milioni di euro. Tanto, poco? E le pensioni d’oro? Qui a fronte della sventolata riforma dei maxi-pensionamenti sopra i cinque milioni, le analisi più attente hanno rilevato come e qualmente la riduzione, per via dell’assegno calcolato col metodo retributivo, “il risparmio sarebbe bensì di 200mila euro, ma al netto della mancate imposte, si ridurrebbe a poco più di 100mila sufficienti a dare 10 euro in più all’anno a circa 10 milioni di pensionati (M. Longoni)”.
Infine Matteo Salvini, che più ne ha più ne fa, dicono i suoi amici lumbard. E in effetti è instancabile non limitandosi ai proclami ma anche a incontri internazionali assolutamente necessari di fronte alle serie problematiche di un’immigrazione quotidiana. Il suo viaggio in Libia in visita al Premier ha posto sul tappeto dell’ufficialità dei due Paesi, ma non solo, le attuali gravi difficoltà, che mostrano come e qualmente siano venuti al pettine i nodi delle mancate risposte sull’immigrazione, a partire da Alfano, Letta e Monti i quali non hanno riflettuto abbastanza rispetto al rinnovo sic et simpliciter degli accordi di Dublino. Purtroppo anche per Salvini il viaggio libico non sembra avere ottenuto risposte concrete. Almeno ci ha provato, come si sente dire. Ma non basta.
di Paolo Pillitteri