Il dirigismo di Pulcinella

lunedì 25 giugno 2018


Nel suo temerario tentativo di modificare la realtà dei numeri e le logiche di una moderna economia di mercato, il vicepremier Luigi Di Maio, dopo aver promesso di contrastare a colpi di decreto legge la precarietà, si è impegnato a riportare gli orari del commercio entro i confini di una rigida regolamentazione.

In particolare, nel mirino del ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico sono finite le aperture domenicali e festive. Di Maio si è detto pronto a rivedere profondamente il decreto “Salva Italia”, emanato dal Governo Monti nel 2011, soprattutto nella parte che ha liberalizzato l’orario di vendita delle attività commerciali. Illuminanti, a tal proposito, le parole espresse in campagna elettorale dal capo politico dei grillini: “Le liberalizzazioni ad opera di Monti e del Partito Democratico ci hanno reso più poveri e hanno sfaldato le famiglie. I commercianti delle città italiane insieme ai loro dipendenti ormai sono costretti a inseguire questo ritmo forsennato dettato dai megastore. Con l’eliminazione degli orari di chiusura degli esercizi commerciali ad opera di Monti e del Pd, si sono messe in competizione piccole botteghe e grandi centri commerciali, scatenando una concorrenza al ribasso che ha ottenuto come unico risultato lo sfaldamento del nucleo familiare del negoziante e dei dipendenti”.

Parole che esprimono al meglio il dirigismo di Pulcinella di chi sembra ignorare completamente i cambiamenti epocali che stanno da qualche lustro interessando l’intero mondo della distribuzione al dettaglio, in particolare dopo il prepotente ingresso sul mercato del cosiddetto e-commerce. A tal proposito, in risposta a questo ennesimo tentativo pentastellato (a cui si sarebbe unita la Regione Veneto di Luca Zaia, entusiasta di ripristinare l’antica regolamentazione) di invertire le lancette della storia economica di questo disgraziato Paese, “Il Giornale” ha pubblicato la dura presa di posizione di Mario Resca, numero uno di Confimprese, associazione imprenditoriale che si batte, tra le altre cose, per favorire la liberalizzazione dei mercati e snellire la burocrazia che soffoca le imprese. Secondo Resca, il dietrofront sull’attuale normativa che deregolamenta gli orari del commercio “sarebbe totalmente anacronistico”, e per questo egli spera che le intenzioni del ministro Di Maio non vengano realmente applicate, “perché il mondo sta cambiando: Amazon e gli altri attori digitali lavorano 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, non possiamo fermarci”.

A questo proposito, il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti riporta una serie di dati molto significativi. In sintesi, solo l’apertura domenicale rappresenta per l’intero settore del commercio circa 9 miliardi di entrate aggiuntive, che per i negozi in particolare costituisce il 17 per cento delle vendite settimanali. Mentre per ciò che concerne la grande distribuzione, analoga preoccupazione è stata espressa da Mario Gasbarrino, presidente di una grande catena di supermercati attiva nel Centro-Nord, il quale, nel corso del programma radiofonico “I conti della belva”, ha posto l’accento sui vantaggi, sia sul piano dell’occupazione e sia su quello salariale, che la liberalizzazione degli orari ha determinato in questi anni nonostante la crisi.

Ma simili argomenti non sembrano, almeno per il momento, fare breccia nei confronti di un ministro del Lavoro pentastellato che, di questo passo, potrebbe persino decidere di ripristinare l’antico sabato fascista, tanto per non farsi mancare nulla. Tuttavia, battute a parte, l’evidente e abissale mancanza di una seria e approfondita analisi di tutto ciò che cade sotto la sua percezione – in questo senso la lista degli esempi sarebbe lunghissima – dimostra ancora una volta che non ci siamo sbagliati sul conto di questa nuova schiatta di politici del cambiamento. Essi pretendono di governare applicando alla complessa realtà di una moderna economia di mercato un ricettario di misure assolutamente semplicistiche, e dunque del tutto inadeguate allo scopo, apprese qua e là tra un comizio politico, una discussione al bar e uno spettacolo di Beppe Grillo.

In questo senso, prendendo spunto dal pensiero di un grande liberale del passato, deliberare senza conoscere a fondo le questioni sollevate è il modo migliore per peggiorare le cose, distruggendo quel poco di buono che ancora esiste nella nostra pseudo economia di mercato. Sotto tale profilo, la propaganda fine a se stessa non potrà mai sostituire la lungimirante visione di cui necessita ogni vero statista.


di Claudio Romiti