Il governo dei miracoli incontra la realtà

mercoledì 20 giugno 2018


Malgrado l’inverosimile corte dei miracoli, composta da keynesioti a ciclo continuo e da irriducibili detrattori della moneta unica, che fa da pittoresco corollario al famoso governo del cambiamento, quest’ultimo sembra aver decisamente riscoperto la realtà dei tanto bistrattati mercati. Mercati i quali, a beneficio di chi ancora non avesse capito cosa siano, rappresentano semplicemente il luogo in cui si incontra la domanda dei compratori con l’offerta dei venditori.

Un incrocio particolarmente delicato per un Paese con un alto debito pubblico come il nostro e che, proprio per questo, sta da sempre particolarmente a cuore a chiunque occupi il fondamentale ministero dell’Economia e delle Finanze. Tant’è che l’attuale inquilino di via XX Settembre, il tecnico Giovanni Tria, intervenendo alla Camera dei deputati in merito al Documento di economia e finanza, ha sostanzialmente proseguito sulla linea moderatamente rigorista - se così vogliamo definirla nel Paese delle cicale per antonomasia - del suo predecessore, Pier Carlo Padoan.

Disattendendo dunque le speranze di chi immaginava una marcia trionfale a colpi poderosi di deficit, Tria si è decisamente impegnato a mantenere la barra dritta verso l’attuale percorso di riduzione del debito, prevedendo di arrivare al pareggio di bilancio nel 2020. In tal modo, ha sottolineato il ministro, “il debito inizierebbe un chiaro percorso discendente. Una evoluzione che è bene non mettere a repentaglio”. Questo perché, ha proseguito Tria, “il consolidamento del bilancio è condizione necessaria per mantenere la fiducia dei mercati finanziari, imprescindibile per tutelare i risparmi italiani e ottenere una crescita stabile”.

Tutto questo poi, sempre secondo il ragionamento espresso dal ministro dell’Economia, alla luce di un mutato quadro internazionale, in cui le spinte protezionistiche innescate da Donald Trump potrebbero anticipare l’arrivo di una congiuntura molto sfavorevole, soprattutto per un sistema fortemente rivolto all’export come il nostro. Da qui la sua evidente e assolutamente giustificata prudenza in merito alla questione primaria, e per noi vitale, della disciplina di bilancio.

Dunque, sarebbe molto istruttivo per i citati keynesioti a ciclo continuo prendere nota dei semplici ma micidiali nessi causali esposti da Tria. Nessi causali che molto spesso nel farsesco teatrino di tanti, troppi talk-show di approfondimento politico vengono impunemente ridicolizzati da presunti esperti di economia e finanza, raccontando a milioni di confusi telespettatori che la sovranità popolare può tranquillamente infischiarsene dei mercati. Solo che, come ha ribadito con parole di piombo il successore di Padoan, noi non possiamo assolutamente permettere ai medesimi mercati di fare la stessa cosa, ossia infischiarsene dei circa 400 miliardi di titoli di Stato che ogni anno dobbiamo rimettere all’asta, con la speranza di venderli a un tasso ragionevolmente accettabile. In tal senso, il nesso causale è facilissimo da comprendere: per ottenere tassi bassi occorre riscuotere la fiducia dei compratori. E quest’ultima dipende essenzialmente dal mantenimento di un rapporto deficit/Pil che consenta a un debito che attualmente supera i 2.300 miliardi di non esplodere. Non ci vuole un premio Nobel per capirlo.


di Claudio Romiti