venerdì 8 giugno 2018
Domande da porci e da porre alla maggioranza di governo sono diverse e varie, ma lungi da noi qualsiasi pretesa di risposte, figuriamoci se immediate. Il fatto è che, dopo il discorso d’investitura del nuovo Premier Giuseppe Conte, le stesse domande gliele sta ponendo il Paese, non tutto ma almeno quello che segue le vicende pubbliche, le campagne elettorali coi loro vincitori (il Governo) e sconfitti (l’opposizione).
La domanda di fondo di qualche giorno fa, diretta o indiretta al Premier, a proposito della sua più vera vocazione, se da avvocato o da Pm, non era mal posta, nel senso che l’avvocato (peraltro sconosciuto, ma non è questo il problema) e ora Presidente del consiglio ha dato a volte nel suo speech l’impressione, francamente sgradevole, di nuotare nel mare magnum non tanto della giustizia quanto del giustizialismo.
Mare magnum, e non a caso sol che si pensi alla restaurazione in atto da parte dei due governanti di quel clima fra il moralismo da strapazzo e il giustizialismo contro i nemici politici che sembrava tramontato dopo il “manipulitismo” degli anni Novanta e seguenti.
Liberi i partiti al governo di dire quello che pensano a proposito di giustizia nel corso di una campagna elettorale tanto tonitruante nelle promesse quanto violenta nelle parole di basso insulto (di cui il “vaffa” grillino rimane una sorta di colonna sonora intimidatrice degli avversari e liquidatrice della politica tout court).
Basta una frase, una parolina, un inciampo, un falso qui pro quo, per drizzare le orecchie a proposito dì populismo-moralismo-giustizialismo, una triade quanto mai pericolosa il cui ritorno in auge sotto le bandiere pentastellate è stata ed è la compagna di viaggio di un’altra curva non meno pericolosa ovvero un malcelato antieuropeismo che per un Matteo Salvini, alle prese con gli immigrati da respingere e/o sistemare potrebbe costituire una qualche sgradevole sorpresa proprio da parte dei Paesi che considera suoi amici. On verrà, chiosano i cugini d’Oltralpe, anch’essi colti da improvvisa sordità alla parola, tanto più se europea, di accoglienza.
Certo, il nuovo Presidente del Consiglio dovrà affrontare temi e problemi non facili, alcuni addirittura epocali come l’immigrazione, e tutti dalla soluzione difficile ma anche per lui e per neovincitori pentastellati e leghisti, vale l’eterna massima dell’Hic Rhodus, hic salta, detta comunque senza ombra di irrisione ma anche senza frenate diplomatiche peraltro non in sintonia e neppure richieste da un clima alieno dalla diplomazia da loro stessi favorito. Le parole sono pietre, diceva quel tale. Se poi riferite alla giustizia sono pietre taglienti e, senza rimembrare le stagioni di venti anni fa quando il giustizialismo sembrava assurgere ai massimi vertici della cosa pubblica con i nuovi eroi insediatisi su un trono divenuto, nel breve giro di una stagione, un trono di paglia.
Eppure, di parole giustizialiste, frammiste ad altre ombreggiate da un qualcosa che ha una lontana parentela con il termine ricatto giacché la dualità insita nel conflitto d’interesse, sia pure esclamato al plurale, non può non suggerire la singolarità dell’avversario su cui sono state in altri tempi riversate, e ha fatto bene da parte sua Berlusconi jr a riportarle alla loro per dir così pluralità, come a dire: mal comune mezzo gaudio.
Ma quando, come ha rilevato il nostro direttore, il discorso contiano mette in luce una sorta di legislazione emergenziale sulla giustizia auspicandone una parallela magari con l’introduzione del leggendario agente provocatore (figura da non confondersi comunque con l’alta narrativa di un Conrad o di Agatha Christie), qualche preoccupazione di chi crede nei valori liberali è più che giustificata, tanto più se coram populo viene reclamata la presunzione di colpevolezza sia pure di lì a poco corretta in presunzione d’innocenza, ma il lapsus freudiano la dice lunga sul reale pensiero, tanto che qui a Milano qualcuno ha commentato in dialetto lombardo-veneto: xe pèso el tacòn del buso.
di Paolo Pillitteri