La politica dal barbiere

giovedì 7 giugno 2018


A volte ascoltare il discorso del Presidente del Consiglio comodamente seduti dal barbiere è un utile esercizio di comprensione degli umori della gente. Molto più utile di un’analisi firmata da uno di quelli che ci capiscono e che per questo vergano i giornaloni sbagliando spesso e volentieri le previsioni.

Nel salone la platea degli uditori era così stratificata: il barbiere, il suo garzone e un cliente erano filo grillini, due avventori erano pro Matteo Salvini mentre altri due habitué erano smaccatamente incazzati e di sinistra. A chi scrive è toccato il ruolo del pentascettico momentaneamente sprovvisto di rappresentanza parlamentare. Assente il centrodestra a mo’ di fosca (e veritiera) profezia.

Dopo un’ora di permanenza, rovistando nella pancia dell’italiano medio se ne deduce che questo governo non ha vita breve per almeno due motivi: il primo è l’indulgenza con cui il neo elettore medio pentaleghista tratta il nuovo governo. È tutto un “lasciamoli lavorare”, “diamogli tempo”, “meglio di chi c’era prima”, “Giuseppe Conte ha detto cose giuste; a proposito… ma chi è questo?”, “va bene pure se fanno una piccola parte di quello che hanno detto”, “sono nuovi, fateli provare”.

Insomma dagli altri si pretendeva tutto e subito, li si voleva autorevoli, competenti e conosciuti sul piano internazionale e li si giudicava rigidamente sulla base delle promesse non mantenute. Con alcuni (citofonare Silvio) c’era anche il pregiudizio, ossia il giudizio negativo a prescindere dalle cose fatte. Adesso va benissimo uno sconosciuto in balia dei due vicepresidenti del Consiglio il quale, per non scontentare i suoi due dante causa, si arrampica su una serie di frasi fatte come in preda a un acuto “maanchismo” di veltroniana memoria. E si ha pure il tatto di consentirgli un tentativo perché sono inesperti, che pretendi, come se fosse accettabile che uno assuma una carica senza sapere se è in grado di onorarla.

Inutile prendere la parola in questo pecoreccio parlamentino improvvisato e spiegare che, se il contratto di governo non verrà applicato nei suoi punti più qualificanti (legge Fornero, flat tax, reddito di cittadinanza, immigrazione), allora vorrà dire che la differenza tra la vecchia e la nuova politica è solo virtuale. Inutile ricordare agli avventori che chi si presenta come il “nuovo” deve avere comportamenti radicalmente dissimili dal “vecchio” e soprattutto deve mantenere le promesse per intero o quasi: considerazione superflua perché un nuovo blocco elettorale si è già formato e non distingui più tra il salviniano (più che leghista) e il grillino. Il cittadino ripudiato dal vecchio establishment politico si sente giunto al potere e questo gli basta. La nuova coalizione di fatto si è formata anche tra la gente che osserva il parvenu della politica con sguardo benevolo perché gli ha dato la speranza a cui aggrapparsi e oltre la quale non vuole nemmeno guardare perché presagisce la presenza del baratro.

Il semplice prova un senso di rivalsa, espone un sorriso a mezza bocca con cui dissimula il rancore verso quelli di prima, personaggi di cui tra poco non ricorderà nemmeno il nome. È come nel ’94 solo che, mentre quelli di Forza Italia erano un Partito-azienda, questi sono un Partito-bar dello sport preso direttamente dalle liste di collocamento.

Unico irriducibile contraltare – che è poi il secondo motivo per il quale questo Governo durerà – è invece la strenua battaglia senza quartiere che ha ingaggiato la sinistra, quella strana setta sempre fedele al proprio credo. Battaglia che – come nel 1994 e in perfetto stile progressista – è così presuntuosa, livorosa e pretestuosa da ottenere l’effetto contrario: una sorta di “operazione simpatia” che accresce - per istintiva reazione - il consenso verso coloro i quali la sinistra identifica come nemici giurati. Dal barbiere come in Parlamento: la sinistra – da quella forbita a quella grossier – usa le stesse argomentazioni di sempre. L’armamentario retorico spazia dall’avvento dei nuovi fascisti, al pericolo per le destre al potere (le destre sempre al plurale perché fa figo), al razzismo incombente per finire alla preoccupazione un tanto al chilo per la povera gente, come se quest’ultima uscisse fuori sempre quando loro non sono al governo. Non può mai mancare la Costituzione più bella del mondo e il rispetto bacchettone che si deve al capo dello Stato. Nessuna autocritica sull’operato dei propri eletti perché il Partito (quello loro ovviamente) è sacro e non sbaglia mai. Il Partito ha lavorato egregiamente; al massimo è tutta colpa di Matteo Renzi perché nel loro immaginario troppo simile a Silvio Berlusconi

Ecco appunto, Silvio Berlusconi: non ricordano nemmeno più il perché ma l’odio verso il Cavaliere li accomuna tutti, come se l’istinto bestiale di Piazzale Loreto non li avesse mai abbandonati questi italiani codardi alla perenne ricerca di un capro espiatorio.


di Vito Massimano