Lo scoglio russo sotto la chiglia del Governo

giovedì 7 giugno 2018


La prima questione rilevante che il Governo giallo-blu dovrà affrontare in sede internazionale riguarda il dossier sulle sanzioni occidentali comminate alla Federazione russa a seguito dell’annessione della penisola di Crimea, già territorio nazionale ucraino.

Da anni, la Lega ha fatto dello stop alle sanzioni un caposaldo della battaglia politica. Non senza un solido fondamento di ragione. Infatti, l’esito della guerra diplomatica sfociata nella decisione di provare a strozzare l’economia russa con l’introduzione di misure restrittive ai liberi scambi commerciali, ha prodotto danni al sistema produttivo italiano. La decisione presa dal premier Giuseppe Conte di rappresentare nell’Aula di Montecitorio l’intenzione di procedere rapidamente all’apertura del dossier con gli altri partner occidentali ha immediatamente scatenato la reazione delle cancellerie estere. A cominciare dalla Nato, il cui segretario generale, Jens Stoltenberg, nel porgere il benvenuto al nuovo Presidente del Consiglio italiano, ha tenuto a precisare che il regime sanzionatorio applicato contro la Russia per il momento non si tocca. Del medesimo tenore le parole dell’ambasciatrice Usa presso la Nato, Kay Bailey Hutchinson, che ha dichiarato: “L’Italia è uno dei nostri più forti alleati, ma sulla Russia crediamo che le sanzioni vadano mantenute fino a quando Mosca non cambierà il suo comportamento”.

Sembra, dunque, che da parte degli alleati non vi sia alcuna possibilità di dare spazio all’iniziativa italiana. Che sia la rimozione delle sanzioni come chiede la Lega o, come più cautamente ha detto il Premier Conte, una revisione delle medesime. Partita chiusa? Non del tutto. A fine giugno il Consiglio dei capi di Stato e di Governo dell’Unione europea deve deliberare il rinnovo delle misure prese contro Mosca. In quella sede l’Italia potrebbe esercitare il diritto di veto che manderebbe in tilt il sistema. Nonostante gli annunciati comportamenti muscolari della nuova maggioranza abbiamo qualche dubbio che il Governo di Roma si metterà di traverso per impedire una decisione che sembra essere nelle corde della totalità degli altri partner. Tuttavia, un modo per salvare capra e cavoli vi sarebbe. Il meccanismo previsto dalla Ue non è automatico. Ogni semestre i decisori politici debbono rinnovare le disposizioni che innescano le misure sanzionatorie. Non sarebbe male se i nostri rappresentanti pensassero a una sorta di messa in mora dell’Ue del tipo: “Questa volta diciamo sì ma con l’impegno vincolante che si riapra il negoziato con Mosca per approdare entro il termine del prossimo semestre a una revisione complessiva dei rapporti con la Federazione russa in un quadro di ritrovata amicizia e alleanza su specifiche tematiche di interesse comune”. Lo potrebbe dire il premier nel corso del plenum comunitario, magari affiancato dal nuovo ministro degli Affari europei che, dall’alto della sua esperienza, sa farsi capire benissimo. Soprattutto dai tedeschi.

E gli italiani da che parte stanno? Il Governo ha ragione e il Paese è pronto a sostenerlo. Tranne, probabilmente, i nuovi indignati del Partito Democratico che, dopo averli sentiti nel dibattito alla Camera sul voto di fiducia, si sono votati al suicidio politico definitivo promettendo un’opposizione urlata ma inconsistente. Questa storia delle sanzioni alla Russia deve finire perché fa male alle nostre imprese ed è una grande ipocrisia. Lo conferma ampiamente l’intervento urticante della signora Angela Merkel che si è precipitata a rispondere a Giuseppe Conte negando ogni apertura sul tema. Ci sarebbe un’espressione molto efficace ma altrettanto volgare per definire la posizione della Germania che preferiamo non ripetere e suonerebbe pressappoco così: “È bello far la voce grossa sfruttando le parti sensibili degli altri”. Che è esattamente ciò che fa il nostro vicino tedesco. La signora Merkel vuol dare una lezione a Vladimir Putin? Si accomodi. Ma prima abbia la decenza di chiudere il rubinetto del North Stream, il gasdotto che pompa materia energetica primaria direttamente dalla Russia fin dentro casa ai tedeschi. Interrompa immediatamente il completamento della seconda linea del North Stream la cui attivazione è prevista per il prossimo anno. Poi dia un taglio robusto alla bilancia commerciale del suo Paese con la Federazione russa. Nel 2016, in piena crisi strategico-diplomatica, il sistema economico tedesco ha fatturato 23,6 miliardi di dollari di esportazioni verso la Russia, contro i 7,44 miliardi di dollari fatturati dalle nostre imprese. Non solo, la Germania ha comprato prodotto dalla Federazione per 28 miliardi di dollari. Meglio hanno fatto soltanto i Paesi Bassi, noti sostenitori del rigore anti-Mosca, con volumi d’acquisto per 29,3 miliardi di dollari. Una tale ambiguità non può essere tollerata oltre. Se fossimo dei trogloditi diremmo che questa cosa ci sembra una gran presa per il c…o. Ma non lo siamo. Ciò non toglie che la strada della ripresa dello “spirito di Pratica di Mare” resti quella giusta. Che lo voglia o no Angela Merkel. E se il Governo di Roma dovesse chiedere all’unica opposizione responsabile presente in Parlamento, che è Forza Italia, un sostegno nel tenere il punto sul fronte internazionale, i berlusconiani, memori di ciò che il presidente Berlusconi ha costruito sul terreno dei rapporti con Mosca, non si tirino indietro. C’è sempre il bene del Paese avanti a tutto.


di Cristofaro Sola